Faccia a faccia

Croce rossa, un osservatorio sulla fragilità

Croce rossa
di Alessia Cosseddu

Primo italiano presidente della Federazione internazionale delle società di Croce rossa e Mezzaluna rossa, oltre che della Croce rossa italiana, Francesco Rocca dal suo “punto di osservazione privilegiato”, come lui stesso lo definisce, ci aiuterà a fare un bilancio dell'anno che sta per chiudersi. Tra crisi e pandemia ma confidando nel volontariato e nella scienza

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Francesco Rocca è presidente della Federazione internazionale delle società di Croce rossa e Mezzaluna rossa (Ifrc) e presidente nazionale della Croce rossa italiana. Si avvicina al volontariato fin da quando studiava Legge all'Università. Nel 2004 si specializza come direttore generale di ospedali e riceve numerosi incarichi in questo ambito. Nel 2017 è nominato presidente dell'Ifrc, primo italiano a ricoprire questo ruolo. Ci offre un bilancio del 2021 e uno sguardo al 2022, partendo dal rapporto dell'Ifrc “Annegare appena sotto la superficie”, sulle conseguenze socioeconomiche della pandemia. Uno studio su dieci Paesi in cui si evidenzia come i più poveri siano stati anche i più contagiati.

Quali sono i dati più importanti emersi dal rapporto?

Questa pandemia ha bruciato il recupero o comunque la crescita degli ultimi anni di tanti Paesi in via di sviluppo e ha portato a una crescente povertà che ha colpito in maniera maggiore le categorie fragili, cioè coloro che appartenevano e vivevano nel sommerso. La mancanza di entrate economiche dei migranti impiegati in quello che in inglese si chiama “informal sector”, per esempio, ha impedito di inviare rimesse alle famiglie nei Paesi d'origine. Dal rapporto emerge anche che si è risentito degli effetti della pandemia più nelle aree urbane che nelle aree rurali.

Un altro aspetto confermato dal rapporto è l'aumento, durante il lockdown, della violenza contro le donne

Le donne pagano sempre un prezzo molto alto quando si affronta una crisi, non soltanto in questa pandemica, vale anche per le donne rifugiate, migranti, dopo un disastro naturale o in guerra. Comunque, le donne sono sempre tra i soggetti più fragili. Questa è solo un'ulteriore conferma.

Quanto ha inciso, sul protrarsi della pandemia, la mancanza di equità vaccinale a livello internazionale?

Ha inciso e sta incidendo. Ne è una costante. Nel continente africano e nei Paesi meno fortunati, solo il 6% ha ricevuto la prima dose del vaccino, contro l'80% dell'Italia e le percentuali dei Paesi occidentali. Questo ovviamente contribuisce a creare situazioni di instabilità e fragilità in quei Paesi, oltre alla perdita di vite. È imperativo arrivare quanto prima all'equità vaccinale. Non ci si può rammaricare se arriva una nuova variante finché ci sono Paesi dove si vaccina poco. Il problema della copertura vaccinale è parte di quello dell'accesso alla salute e non lo possiamo guardare soltanto dal punto di vista nazionale, è un fenomeno globale. In troppi Paesi c'è un problema di accesso alle strutture sanitarie, lo verifichiamo anche per le persone migranti.  

Anche le crisi migratorie sono tornate di drammatica attualità: Bielorussia e Polonia, la Manica, Spagna e Marocco, Grecia. Con l'Italia che sopporta un grande peso nel Mediterraneo

Sicuramente l'Italia sopporta un impatto importante in termini di numeri e la percezione sociale che si ha è legata al fallimento dei piani di accoglienza comuni a livello di Unione Europea, quindi della distribuzione delle persone che hanno diritto alla protezione umanitaria. Questo pesa sul nostro Paese creando un senso di fatica e purtroppo di fastidio, fino a reazioni xenofobe quando non razziste. Io però non le chiamerei “crisi”, ma conseguenze di crisi. Di situazioni che non si è riusciti a gestire. L'esempio della Bielorussia è perfetto. Stiamo parlando di relativamente poche centinaia di migranti. Rispetto a quello cui siamo abituati in Italia, i numeri sono molto più contenuti. Quella bielorussa è diventata una crisi internazionale perché vi erano delle tensioni preesistenti che sono state politicizzate. D'altronde, come pretendere che questo non accada al confine tra Bielorussia e Polonia quando accade anche tra Francia e Regno Unito e in Italia, Turchia e Grecia? Le tensioni per i migranti esplodono dove la politica si divide anziché gestire in modo unitario.

La Croce rossa è intervenuta anche alla Cop26 sull'emergenza legata a eventi estremi causati da cambiamenti climatici 

L'aspetto positivo, il “bicchiere mezzo pieno”, riguarda l'aver stabilito l'obiettivo di limitare l'aumento delle temperature a 1,5°C entro il 2050. Ma ciò a cui noi guardiamo con più preoccupazione è il problema dell'adattamento. Vediamo l'intensificarsi di fenomeni estremi sia nei Paesi già esposti sia in luoghi in cui non eravamo abituati, nelle ultime settimane è accaduto in Sicilia. L'intensificarsi in termini di violenza e intensità di questi fenomeni metereologici ha un impatto devastante, perciò si deve lavorare molto sulla prevenzione, impegnando coraggiosi investimenti. Se anche si applicasse la risoluzione stabilita dalla Cop, questi fenomeni dureranno ancora parecchi anni, lo dice la scienza, e andranno a colpire popolazioni già fragili.  

Su clima e Covid, invece, qual è il ruolo della scienza?

Sia per il Covid che per il cambiamento climatico, abbiamo assistito a un'involuzione sociale. Cioè la politicizzazione della scienza. Questa barbarie sta determinando conseguenze importanti in termini di divisione della società civile e di questo i responsabili politici devono farsi carico, agendo con chiarezza. Un limite, però, questa volta va addebitato anche alla comunità scientifica, non solo in Italia: le “prime donne”. Per un virus scoperto a cavallo tra il 2019 e il 2020, su cui le conoscenze scientifiche si stavano ancora formando, abbiamo avuto un immediato proliferare di illustri scienziati che si contraddicevano su tv, social, giornali, ancorché in buona fede. Questo messaggio è sbagliato. La comunità scientifica dovrebbe discutere al proprio interno, prima di dare alla popolazione informazioni che possono generare un impatto emotivo forte, perché nel momento in cui le persone hanno paura sono suscettibili a ogni opinione e questo è estremamente pericoloso.

Quindi è un problema di comunicazione della scienza?

Questo è un tema fondamentale. Seguire la comunità scientifica è prioritario. Una delle poche cose che abbiamo detto sin dall'inizio della pandemia, come Croce Rossa, è di creare fiducia all'interno delle comunità. Nell'esperienza Ebola, in tempi recenti, avevamo visto quanto questo fosse importante per il contenimento dell'epidemia, in un contesto in cui fake news e credenze popolari potevano creare pregiudizio e aumentare la diffusione. Lì è stato importante lavorare a livello comunitario per creare affidamento. È fondamentale per superare fenomeni come quelli pandemici.

Quanto è sfidante un incarico come il suo?

Intanto, è molto faticoso. Come Federazione abbiamo 192 paesi membri e quindi il coordinamento del lavoro di 192 società di Croce rossa e Mezzaluna rossa e può ben immaginare la complessità nel dare risposte, specialmente con la pandemia. La Croce rossa è comunque uno specchio dei Paesi dove opera e non tutti hanno le attrezzature e le risorse necessarie. D'altro lato, questo incarico è un privilegio enorme, perché dà la possibilità di vedere quello che accade realmente, senza essere filtrato dai media o dalle letture politiche, soprattutto per quel che riguarda le crisi umanitarie, le loro ragioni e le dinamiche sottese. Questo osservatorio privilegiato non ha prezzo per chi è intellettualmente curioso, come ritengo di essere, e ripaga delle tante fatiche e dello stress che genera il lavoro. Io per primo devo contenere e rimanere sempre equilibrato nei rapporti con i Governi, poiché noi svolgiamo un ruolo di diplomazia umanitaria.

Qualcosa di positivo del 2021 da conservare nell'anno nuovo?

Siamo ancora accompagnati da tanta generosità. Noi siamo un'associazione di volontariato, sia su base nazionale che su base internazionale, questa è la caratteristica della Croce rossa e della Mezzaluna rossa, ovunque nel mondo. Vedere il numero dei volontari crescere vuol dire che ancora possiamo sperare, che ci sono persone che si mettono in gioco per migliorare la società: questo per me è un aspetto molto positivo, considerando ciò che abbiamo vissuto in questi ultimi due anni.

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