Ai giovani dico: “Siate audaci!”
Dagli esordi al Cnr all'attuale attività di coach tecnologico e divulgatore scientifico, Franco Malerba, primo astronauta italiano della storia, racconta le tappe più significative della sua carriera
Ripercorrere con Franco Malerba, primo astronauta italiano della storia, le tappe più significative della sua carriera vuol dire perdersi in un labirinto di esperienze e sfide che, afferma, hanno tutte in diversi modi contribuito al raggiungimento del suo traguardo più grande: lo spazio. Classe 1946, una laurea in ingegneria elettronica e una in fisica, vince giovanissimo una borsa di studio al Cnr con la quale inizia a svolgere attività di ricerca in campo biofisico, per poi volare negli Stati Uniti, al National Institute of Health. Tornato in Europa, dopo una breve parentesi come ufficiale di complemento per la Marina Militare, inizia una carriera da manager in ambito privato: le telecomunicazioni sono già il suo campo di specializzazione, anche se da un punto di vista commerciale. È in questo periodo che scopre il bando spaziale per astronauti europei con i quali stava prendendo avvio il programma Spacelab e, con esso, una nuova stagione europea di esplorazioni. Prima partecipa alla competizione per la selezione astronautica - che sfocia in un periodo “sabbatico” di due anni in Olanda, dove lavora a un esperimento dell'Esa sulla fisica dei plasmi – poi, dopo una lunga attesa, alle selezioni della missione Asi-Nasa del Satellite a filo Tethered, che nel 1992 lo porta in orbita a bordo dello shuttle Atlantis.
Ha esordito al Cnr: che ricordo ha di quegli anni? Su cosa stava lavorando?
Erano i primi anni '70 e mi trovavo presso l'allora Istituto di biofisica e cibernetica, con sedi a Genova e a Camogli: qui ho fatto la prima esperienza di ricerca sperimentale. Eravamo impegnati nello studio della conduzione nervosa, usando il nervo del mantello del calamaro gigante. Se mi domanda perché il calamaro, ebbene il motivo è che il suo nervo è particolarmente grande, circa un millimetro di diametro, e permette una micro-manipolazione più agevole.
Chi erano i suoi colleghi?
Erano ricercatori, maestri che hanno lasciato una traccia nella storia della scienza, come Antonio Borsellino e Franco Conti; fu proprio Borsellino ad aprirmi la strada dell'esperienza negli Stati Uniti, occasione che si rivelò utilissima per la mia “iniziazione” alla ricerca a livello internazionale e anche per il perfezionamento del mio inglese. Per una delle tante coincidenze che hanno caratterizzato la mia vita, incontrai nel mio laboratorio al National Institute of Health l'italiano Pierlorenzo Marchiafava, eccellente biofisico pisano. Insieme decidemmo di prendere il brevetto per pilota, una scelta fatta quasi per gioco, che si rivelò utile per la successiva carriera da astronauta.
Pensava già allora di fare l'astronauta?
Direi proprio di no, lo spazio ai tempi dell'allunaggio dei primi uomini era affare riservato ad americani e sovietici. Il mio progetto professionale era la ricerca, ma pensavo che se questa carriera si fosse rivelata troppo difficile, avrei fatto l'ingegnere, come è capitato poi davvero. A quell'epoca, come anche oggi, l'attività di ingegnere apriva diverse opportunità concrete.
Ritiene che un approccio simile sia valido ancora oggi?
Continuo a credere che le carriere scientifiche offrano più opportunità di lavoro, ma è bene perseguire le proprie aspirazioni e i propri talenti. Oggi ai giovani si richiede di essere flessibili, io credo di esserlo stato parecchio, ma sono stato anche fortunato. Qualche volta sono stato forse anche temerario, perseguendo imprese che sembravano difficili o addirittura impossibili. Impegnarsi a fondo in qualcosa offre sempre l'occasione di imparare.
Da astronauta ha “ritrovato” il Cnr con la missione del satellite al filo; in che cosa consisteva?
Siamo nel 1992 e dalla collaborazione Asi-Nasa nasce un progetto di ricerca nello spazio, il satellite al filo, che viene realizzato negli stabilimenti Alenia di Torino e porta nello spazio una moltitudine di strumenti scientifici di misura. Per questo serve a bordo un astronauta-scienziato, questo compito tocca a me. Uno degli obiettivi della missione scientifica del satellite al filo - in gergo tecnico Tethered Satellite System- era la misura a terra di segnali elettromagnetici emessi dal cavo elettrico che collegava il satellite allo shuttle. In effetti, il filo conduttore, muovendosi nel campo magnetico terrestre, genera una differenza di potenziale elettrico tra satellite e shuttle: il satellite, polo positivo della dinamo spaziale, raccoglie elettroni dalla ionosfera e alcuni acceleratori di elettroni sullo shuttle emettono elettroni; si crea così un circuito elettrico modulabile che genera onde elettromagnetiche di grandissima lunghezza d'onda. Il Cnr era parte attiva della missione con Silvana delle Piane e Roberto Marcialis, allora tesista di ingegneria.
Lo scorso 20 luglio il mondo intero ha celebrato i 50 anni dall'allunaggio. Dal suo punto di vista, cosa ha significato quel momento e perché la società è così affezionata a quella missione?
Indubbiamente fu un evento epocale di grande portata politica, tecnologica e culturale. La vista del sorgere della Terra sulla Luna fu un'esperienza molto speciale. Anche le ricadute tecnologiche di quell'impresa hanno marcato i nostri tempi, soprattutto nell'elettronica e nella robotica. Ma ritengo che l'avvenimento del 20 luglio 1969, il piede dell'uomo sulla Luna, fu anche un grandissimo successo dal punto di vista mediatico, e anche per questo è rimasto così impresso nella memoria collettiva. Ancora oggi si sa poco degli aspetti tecnici profondi che hanno reso possibile l'impresa, delle geniali scelte ingegneristiche, delle tante difficoltà affrontate e superate. Fu anche un evento mediatico eccezionale, tant'è che giornalisti come Walter Kronkite in America e Tito Stagno in Italia divennero delle star.
Perché è importante continuare a fare ricerca spaziale?
Le attività spaziali sono ormai sostenute da diverse motivazioni convergenti: la conoscenza, ovviamente, ma anche le ricadute applicative della tecnologia spaziale sulla vita terrestre. Penso al programma di osservazione della Terra Copernicus: i suoi satelliti-sentinella permettono di monitorare e comprendere le dinamiche del suolo, prevenire catastrofi naturali, definire strategie intelligenti per l'agricoltura di precisione, prevedere il meteo e capire i meccanismi del cambiamento climatico. L'infrastruttura Galileo ci dà il “punto nave” e il tempo di riferimento mondiale. Sul nostro smartphone fioriscono applicazioni e piattaforme software che utilizzano questi dati, ci aiutano a trovare la strada, il taxi o il parcheggio; domani ci daranno l'auto autonoma, si spera facendo così diminuire gli incidenti sulle strade. Solo poche settimane fa, inoltre, è stato messo in orbita il satellite multispettrale italiano Prisma, che sa effettuare un'analisi chimico-fisica delle aree sotto osservazione. È un'eccellente manifestazione della space economy.
Cosa fa oggi Franco Malerba?
Alterno l'attività di coach di piccole imprese spaziali con quella di divulgatore. Easme, l'agenzia per le Pmi della Commissione Europea mi affida consulenze a giovani startup europee che hanno vinto un progetto Horizon 2020 in ambito spazio: un'occasione per loro di sfruttare un poco la mia esperienza e per me di rimanere nel fuoco dell'innovazione. Come divulgatore sono chiamato ancora a raccontare il fascino dell'esplorazione e da tre anni organizzo a Busalla, il paese dell'entroterra genovese nel quale sono nato, il Festival dello Spazio, una manifestazione divulgativa che cerca di stimolare nei giovani l'impegno in ambito scientifico. Nell'edizione appena trascorsa (26-28 luglio 2019 ndr), abbiamo raccontato diverse aspetti della ricerca spaziale attuale attraverso la voce dei suoi diretti protagonisti, coinvolgendo le tante competenze “genovesi”: dall'Università al Cnr, dall'Iit a Leonardo. Tra i vari eventi, c'è stata la consegna da parte dell'Università di Genova al Comune di Busalla di alcune apparecchiature usate a terra durante la missione del Satellite a filo del '92: dovrebbero segnare l'inizio di una vocazione museale spaziale a Villa Borzino. Dallo scorso aprile, poi, abbiamo inaugurato il Festival junior, dedicato alle scuole: il futuro delle idee è nelle loro mani.