Faccia a faccia: Festival

Raccontare la scienza

Barbara Gallavotti
di Alessia Cosseddu

Tra i divulgatori scientifici italiani più attivi, Barbara Gallavotti è riuscita a coniugare l’amore per l’informazione scientifica e la passione letteraria. Con lei ricordiamo Piero Angela, il suo primo maestro, assieme al quale ha lavorato per tanti anni. In primavera, tornerà in prima serata su Rai Tre con “Quinta dimensione. Il futuro è già qui”. “Chi divulga la scienza – afferma - racconta le grandi esplorazioni di oggi”

Pubblicato il

Scrittrice, giornalista e divulgatrice scientifica, di formazione biologa, nel suo lavoro Barbara Gallavotti è riuscita a coniugare l’amore per la scienza con la passione per la comunicazione. Dal 2000 è autrice di programmi televisivi come “Ulisse. Il piacere della scoperta”, condotto da Alberto Angela, “Hit Science2", trasmessa da Rai Tre e dedicata ai ragazzi, e “Superquark”, condotta da Piero Angela, che è stato il suo primo maestro. Lo scorso marzo, ha condotto in prima serata su Rai Tre un nuovo format di divulgazione scientifica: “Quinta dimensione-Il futuro è già qui”.

“Figlia d’arte”, o “di scienza”: suo padre è matematico e fisico. Quindi nella sua vita si sarà sempre parlato di certi temi. È questo che l’ha spinta agli studi scientifici e alla divulgazione?

In realtà, nella mia famiglia c’è una fortissima componente umanistica. Io ho fatto il liceo classico e ho sempre amato le lettere, anzi continuo ad amarle moltissimo. Dico sempre che, banalmente, quello che faccio è raccontare le esplorazioni e le scoperte del nostro tempo: noi divulgatori siamo dei cronisti, come coloro che nei secoli passati andavano al seguito dei grandi esploratori e raccontiamo quella che è in fondo una grande avventura, la ricerca. L’unica differenza è che adesso le esplorazioni sono soprattutto intellettuali. Gli scienziati esplorano i confini del cosmo, la natura dell'essere umano, il funzionamento delle cellule e così via, e chi divulga la scienza fa questo: racconta le grandi esplorazioni di oggi.

Lei ha scritto anche libri di divulgazione per ragazzi: è più facile rivolgersi ai più giovani o agli adulti, se estranei al mondo scientifico?

Tutte e due le fasce anagrafiche presentano delle difficoltà e rappresentano delle sfide. I ragazzi sono molto più curiosi, molto più aperti e pronti a sentirsi raccontare cose nuove, direi abituati, però questo non alleggerisce gli ostacoli del raccontare, perché sono un pubblico particolarmente esigente. Conquistare il loro interesse non è banale, ma non per una questione di difficoltà dei contenuti, che in ogni caso quando si divulga devono essere resi molto accessibili, ma anche per il fatto di doversi contendere l’attenzione con formati multimediali di grande efficacia e impatto.

È stata coautrice di Ulisse e Superquark, cosa ricorda di Piero Angela il suo “primo maestro”?

Abbiamo lavorato insieme per 23 anni quindi i ricordi sono tantissimi e affiorano, soprattutto in questo periodo in cui spesso vengono riproposti brani di trasmissioni realizzate insieme oppure di cui ero stata semplice spettatrice. Ma principalmente ho il ricordo di una persona estremamente dolce, che non si arrendeva mai, ma che voleva sempre raggiungere un obiettivo, che pretendeva di fare le cose nella maniera che riteneva utile. Questo significava essere assolutamente rigorosi nei contenuti, non sopportava che venisse proposto al pubblico qualcosa non perfettamente corretto e comprensibile. Superquark non è mai stato un programma di puro intrattenimento, anche se tutti noi ricordiamo di aver visto cose che ci hanno divertito e incuriosito, perché all'origine di tutto c'era la volontà di offrire qualcosa che aiutasse le persone a vivere meglio, sia individualmente, prendendosi una migliore cura di sé stessi e della propria salute, sia come collettività, collaborando perché il Paese vada avanti, perché le cose funzionino meglio. In sintesi, la divulgazione scientifica per Piero non era solo cultura o informazione, ma la consapevolezza che scienze e tecnologie sono fondamentali per la vita di oggi.

Gallavotti

Il suo nuovo programma si intitola “Quinta dimensione-Il futuro è già qui”, dedicato alla ricerca di frontiera. Aspettiamo la nuova serie in primavera. Glielo chiedo: il futuro è già qui?

Direi che lo è inevitabilmente, perché qualunque cosa stiamo facendo adesso costruisce il nostro futuro. L'esempio eclatante è quello dei cambiamenti climatici: le decisioni che prendiamo oggi scrivono quello che sarà il domani: immediato, tra pochi anni o decenni, ma anche sulla lunga distanza della nostra vita di specie. La scienza, le tecnologie e le conoscenze che si acquisiscono adesso diventeranno qualcosa di evidente magari solo tra qualche secolo, eppure concorrono concretamente al futuro prossimo e meno prossimo. È sempre stato così, basta pensare a quando si facevano i primi studi sull'elettricità, nessuno pensava che avrebbe avuto il ruolo pervasivo che ha oggi. Eppure, quegli studi di base, guidati semplicemente dalla curiosità, stavano a tutti gli effetti cambiando il mondo.

Nel 2019 ha scritto "Le grandi epidemie: come difendersi" (Donzelli). Il tema dei microbi torna anche nel suo ultimo libro "Confini invisibili" (Mondadori). Per chi si occupa di scienza la pandemia era tutt’altro che inaspettata?

La pandemia da Covid-19 ha reso evidente l’impatto microbi patogeni, ma i microbi sono un mondo vastissimo, al quale dobbiamo anche parecchia gratitudine, senza il quale noi non potremmo esistere. In fondo, gli agenti infettivi con cui abbiamo tanti problemi sono solo una manciata. Negli ultimi decenni, però, abbiamo visto emergere molte malattie prima sconosciute, dovute a microbi che hanno fatto il salto di specie come Sars, Mers, Zika o Ebola. Il motivo per cui il Covid ha avuto un impatto tanto forte è che questo virus presenta una serie di caratteristiche particolari. Per esempio, è respiratorio e quindi con una estrema facilità di diffusione; inoltre, si diffonde anche attraverso soggetti asintomatici, mentre la Sars non riusciva a farlo efficacemente e grazie a questo è stata sconfitta. L’asintomaticità consente di portare il contagio di una malattia da un lato all'altro del Pianeta in tempi molto rapidi: anche con Ebola, per esempio, questo sostanzialmente non può accadere, chi ne è colpito sta quasi subito malissimo, non si può più muovere e quindi l'epidemia resta in qualche modo localizzata. Covid-19 presenta alcune caratteristiche che lo rendono un agente infettivo quasi perfetto: dal suo punto di vista, non dal nostro.

Un bel disastro…

D'altro canto, se volessimo proprio vedere un lato positivo di questa epidemia, ha portato a un impegno inimmaginabile in precedenza da parte della ricerca scientifica, ma anche dei governi, che hanno finanziato studi specifici. in particolare, le ricerche sui vaccini a RNA hanno così compiuto degli avanzamenti rapidissimi e oggi disponiamo di conoscenze sull’RNA così ampie da poter pensare di utilizzare questa molecola come base di farmaci di diverso tipo, non solo di vaccini: un risultato che altrimenti sarebbe arrivato forse solo fra molti anni.

Covid-19 ha sviluppato molto anche il narcisismo scientifico, se così vogliamo chiamarlo. La comunicazione della pandemia si poteva gestire meglio?  

Forse la si sarebbe potuta gestire meglio se, parlo del caso italiano, avessimo avuto una più solida tradizione di giornalismo scientifico. Questo è stato l'anello debole della catena, non sono state coinvolte a sufficienza le figure professionali che hanno uno sguardo d’insieme su quanto avviene nella ricerca, che sono abituate a contestualizzare, a separare le legittime ipotesi degli esperti dalle conoscenze già condivise. Che gli esperti esprimano posizioni diverse fino a che non si approda a un risultato supportato da sufficienti prove è ovvio, ma questo non significa che esista confusione fra gli esperti: è un dibattito normale nei convegni scientifici, ma chi non è addentro a queste dinamiche può confondere questa situazione con il brancolare nel buio. Si dirà che però i media hanno consentito direttamente agli scienziati di intervenire, ma proprio qui sta il ruolo importante della divulgazione: sentire direttamente i protagonisti della ricerca è giusto, ma è altrettanto importante avere figure di mediazione professionali. D’altronde se parliamo di spettacolo, oltre a intervistare l’attore e il regista, ci affidiamo anche al critico; il giornalista politico ci aiuta a orientarci tra i pareri dei politici. Il divulgatore può offrire uno sguardo esperto ma esterno. Tra chi svolge attività scientifica e chi la divulga non c'è competizione, ma una complementare diversità di ruoli che è molto utile alla comprensione pubblica.

Lei è tra i divulgatori italiani più impegnati, quali i suoi progetti futuri?

In primis la nuova stagione del programma su Rai Tre in prima serata, poi, tra le altre cose,  ho con il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano un progetto volto a fornire ai cittadini gli strumenti culturali per esprimere la propria opinione su temi che riguardano scienza e tecnologia. E ancora sto ultimando un libro per ragazzi, con l'idea di raccontare quella sorta di gioco di scatole cinesi che è il nostro universo: inizia dalle particelle, passa attraverso le molecole come il DNA, la vita, gli ecosistemi, il Pianeta, per poi tornare alle particelle. Una catena che dimostra come tutto ciò che esiste e che garantisce la nostra sopravvivenza sia collegato e che insegna, quindi, come, per prenderci cura di noi stessi, dobbiamo prenderci cura del tutto.

Riesce a immaginare la sua vita senza la scienza?

Come dicevo, a me piace scrivere, raccontare e credo che la scienza sia la grande avventura dei tempi moderni. Sono felice di farlo e credo anche che sia utile, sarebbe veramente un peccato perdere questo racconto e questa avventura. Sono riuscita a unire informazione scientifica e passione letteraria, tutto ciò che amo. Il mio sogno da bambina era questo e l’ho realizzato. Sono fortunata e felice.