Cacciatori di microplastiche: un esempio di citizen science
“Pagaiare per un mare pulito” è uno degli eventi speciali del Festival di Genova, per praticare il coinvolgimento di cittadini e giovani nella collaborazione attiva con i ricercatori. Ne abbiamo parlato con Francesca Garaventa, ricercatrice dell’Istituto per lo studio degli impatti antropici e la sostenibilità in ambiente marino del Consiglio nazionale delle ricerche e responsabile del progetto. L'iniziativa viene presentata anche alla "GenOA Week" 2022 come esempio di best practice
La cura verso l’ambiente dovrebbe far parte dell’essere umano, che spesso danneggia più o meno inconsapevolmente la natura incluso il mare, nel quale si riversano scarti e rifiuti, tra cui la plastica e le microplastiche. Uno degli eventi speciali del Festival della Scienza di Genova ha per titolo proprio “A caccia di microplastiche. Pagaiare per un mare pulito”, un esperimento di citizen science, che mira a sensibilizzare l’attenzione dei ragazzi, dando loro un ruolo attivo.
Ne abbiamo parlato con Francesca Garaventa dell’Istituto per lo studio degli impatti antropici e la sostenibilità in ambiente marino (Ias) del Cnr, responsabile del progetto, realizzato in collaborazione con Guardia costiera ausiliaria, Lega navale italiana, Marevivo, OutBe, Outdoor Portofino.
Il progetto è un esempio virtuoso di sinergia tra società e istituzioni, tanto da essere presentato anche alla "GenOA Week" 2022 come best practice per la sezione "Scienza aperta, comunità scientifica e partecipazione europea" (Genova 7 novembre 2022, ore 14.30, info su https://openscience.unige.it/genOAweek2022).
“L’evento, prevede la collaborazione attiva di tutti gli amanti del Kajak, dai 14 anni in su, con i ricercatori nell’attività di campionamento delle microplastiche nella zona portuale. Nel progetto Micro Plastic Hunter vengono fusi l’amore per il mare, per lo sport e per il sostegno alla ricerca”, spiega Garaventa. “I partecipanti adoperano Kajak dotati di reti dette ‘mini-manta’, appositamente studiate e capaci di filtrare l’acqua trattenendo nelle proprie maglie i corpuscoli al di sopra dei 330 micron e di quindi raccogliere le microplastiche presenti nei tratti di mare percorsi”.
Le microplastiche sono frammenti di plastica al di sotto dei 5mm, che derivano per lo più dai rifiuti. Si possono distinguere in due categorie: "Microplastiche primarie, che hanno origine da pellet, micro palline di plastica o fibre che derivano da lavorazioni tessili o scarichi delle lavatrici, cioè da materiali plastici già di piccole dimensioni alle origini; le microplastiche secondarie, derivano dalla degradazione di materiali plastici di grandi dimensioni e hanno origine per lo più dai rifiuti”, chiarisce la ricercatrice: “Secondo studi condotti nel 2020, l’ammontare di plastica a oggi sulla Terra è di circa 8 gigatonnellate. Ogni anno si producono circa 400 milioni di tonnellate di plastica e si stima che circa il 3% di questa produzione finisca in mare. Ha origine per esempio da rifiuti abbandonati sulla costa e reti da pesca. Non tutta galleggia, finendo in buona parte sui fondali, dove può essere facilmente ingerita dalla fauna marina. Si è evidenziata la presenza di zone di accumulo dovute probabilmente alle correnti marine, come avviene ad esempio nel santuario dei cetacei”.
Minimanta in mare
Attualmente, si stanno sviluppando nuove tecniche di analisi e nuove ricerche, sulla colonna d’acqua alcune in collaborazione con ricercatori danesi, che hanno portato a interessanti scoperte. “Ad esempio che alla foce dell’Arno il numero di particelle aumentava man mano che si scendeva verso il fondo. Diversamente da quanto si è soliti pensare, la plastica sprofonda, in quanto ha una densità maggiore di quella dell’acqua. E trovandosi sul fondo è maggiore la probabilità che venga a contatto con la fauna marina”, chiarisce Garaventa. “Più dati si hanno e maggiore è la nostra capacità di comprendere la distribuzione di questo inquinante e focalizzare le azioni di intervento. Si sta quindi pensando a come raccogliere le informazioni nei punti in cui le acque provenienti dalle attività antropiche vengono immesse nel mare, come le foci dei fiumi o gli impianti di depurazione”.
Qui entra in gioco la citizen science. Spesso le barche adoperate per fare i campionamenti con l’uso della manta sono troppo grandi per campionare nei pressi della costa o delle insenature. “Adoperando i kajak dotati di reti manta più piccole è possibile raggiungere questi luoghi. Il progetto Mph, coinvolgendo gli amanti dello sport permette di: farli partecipare alla vita pratica di un ricercatore e sensibilizzarli alla cura per l’ambiente”, continua Garaventa. “Ovviamente, per far sì che il coinvolgimento del cittadino abbia valore scientifico, è necessario che il campionamento venga eseguito in base a standard precisi".
Eventi come il Festival della Scienza riescono ad amplificare la richiesta di collaborazione. E quello che si cerca di creare a Genova è un vero è proprio centro di riferimento per tutte le attività che hanno a cuore il mare. Per questo è nato il Blu District, in cui tutti gli attori principali legati al mare si ritrovano per condividere necessità, interessi e opportunità.
Fonte: Francesca Garaventa, Istituto per lo studio degli impatti antropici e la sostenibilità in ambiente marino, e-mail: francesca.garaventa@ias.cnr.it