Focus: Mission impossible

Immaginare il futuro è un'impresa

Grafico economico
di Giampaolo Vitali

Prepararsi ai cambiamenti in arrivo è indispensabile per gli operatori economici, al fine sia di crescere sia di limitare eventuali rischi ed effetti negativi. Ma riuscirci non è semplice, poiché i fattori da valutare sono molti e non sempre prevedibili, come spiega Giampaolo Vitali dell'Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile del Cnr

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Le imprese vivono in un mondo incerto, interconnesso e volatile, che impone nuove lenti per capire il contesto in cui si opera e nuove competenze per definire le strategie da adottare. Il management si deve dotare di nuovi strumenti che consentano di immaginare gli scenari alternativi che possono definire i mercati del futuro per poter prendere decisioni nel presente capaci di avere un impatto positivo nel futuro. Ci sono tecniche ben precise per definire gli scenari futuribili, a cui attribuire diverse probabilità di realizzo e diversi impatti sull’impresa, come sull’economia e sulla società nel loro complesso. Esiste persino la World Futures Studies Federation, un’organizzazione partner dell’Unesco, che favorisce le ricerche scientifiche sui “futuri alternativi”.

Le imprese di grandi dimensioni sono quelle più coinvolte nell’individuazione di un “futuribile” studio necessario per pianificare la crescita di medio lungo termine, dove sono in gioco rilevanti investimenti in nuove tecnologie, in nuovi siti industriali, in Paesi lontani. Oltre alle imprese industriali, l’attenzione al futuro è forse ancora più importante per le imprese finanziarie, come le assicurazioni, i fondi di investimento, le grandi banche. Si tratta di soggetti che ogni giorno sono chiamati a effettuare scelte di investimento di lungo o lunghissimo periodo. Pensiamo ai fondi pensione che allocano il risparmio in titoli pubblici con scadenza a 30 anni, alla grande banca d’affari che partecipa in project financing alla costruzione di un’importante infrastruttura, all’acquisto di grandi immobili da parte delle assicurazioni per rafforzare il patrimonio di lungo termine. A livello strettamente locale, anche le Fondazioni bancarie hanno la necessità di individuare gli scenari futuri dei territori in cui sono attive, nell’ottica di dirigere aiuti e incentivi per rafforzare la resilienza del territorio rispetto ai cambiamenti prospettici. Tutti questi operatori hanno bisogno di particolari competenze di management che si possono acquisire in corsi specifici e che consentano di individuare i grandi trend al cui interno si colloca l’impresa, trovando coerenza tra l’evoluzione dei trend e l’evoluzione auspicata dell’impresa.

Merita precisare che l’obiettivo delle imprese non può essere quello di predire la prossima pandemia, la prossima crisi globale o la prossima tecnologia “disruptive” che impatta sul business d’impresa o sull’intera economia, quanto piuttosto farsi trovare preparate per potere sfruttare tutti gli aspetti positivi del cambiamento (più o meno atteso) in termini di crescita, e per ridurre nel contempo i rischi di subirne gli aspetti negativi. Le imprese non vogliono subire il futuro, sperano invece di governarlo, prima e meglio dei concorrenti.

Tuttavia, occorre anche saper rispondere con velocità al cambiamento, e in questo le piccole imprese hanno una maggiore flessibilità rispetto alle grandi. Lo conferma il recente caso della cooperativa di ceramiche emiliana che ha velocemente modificato i turni di lavorazione per risparmiare sui costi energetici ed è stata addirittura citata come esempio virtuoso europeo dalla presidente della Commissione UE, nel suo discorso sullo stato dell’Unione dello scorso 14 settembre.

Lavoratore di un'industria

Il gruppo dei manager coinvolto nella definizione dei vari scenari è costituito da competenze multidisciplinari, che si integrano tra loro in un lavoro di gruppo, creativo ma anche scientifico. Del resto, quanto i centri di ricerca si immaginano il futuro del nostro Paese, gli ambiti sociali, economici e tecnologici sono molto interrelati tra loro ed evidenziano la difficoltà di descrivere uno scenario globale che sia coerente nel suo complesso, e cioè che non contenga contraddizioni tra l’ambito sociale (con uno scenario che prevede il continuo invecchiamento della popolazione), quello economico (con la crescita che richiede maggiori risorse umane e finanziarie) e quello tecnologico (con il solito trade-off tra nuove tecnologie e risparmio di lavoro). Di recente, a questa complessità di visione si aggiunge anche lo scenario ambientale, con le sue opportunità, vincoli e criticità, complicando ulteriormente l’esercizio previsivo.

Per raggiungere l’obiettivo di anticipare il futuro, le imprese devono imparare a leggere i “segnali deboli” dell’economia e della società prima che diventino palesi agli altri operatori. Si tratta di decifrare i contenuti della “punta dell’iceberg” che si intravede nel mare delle informazioni, che i media e internet riversano confusamente sulla scrivania dei decisori. Il tentativo è quello di effettuare investimenti o scelte economiche che massimizzino le opportunità di crescita nel futuro e minimizzino gli effetti di eventuali crisi.

In tutti questi casi, ma soprattutto nelle grandi imprese più strutturate, l’ufficio studi e quello della pianificazione strategica devono trovare una condizione di coerenza tra gli scenari possibili e le decisioni più rilevanti da prendere. Ove non sono presenti queste competenze, l’impresa può utilizzare centri di ricerca e consulenti esterni.

L’aiuto che arriva dai centri di ricerca, dalle associazioni scientifiche e dai consulenti è piuttosto vario e composito. Per esempio, il processo di technology foresight, che consente di definire l’evoluzione delle tecnologie più promettenti, è offerto da numerosi think tank internazionali. Nel caso italiano merita citare lo sforzo dell’associazione AIRI, ma anche di alcune università ed enti pubblici di ricerca nel definire le tecnologie con il futuro più promettente (come nel caso dell’idrogeno, la nuova energia studiata da numerosi Istituti Cnr).

Un altro esempio riguarda gli scenari demografici, che impattano sull’economia sia dal lato dell’offerta, con la produzione che non trova un sufficiente numero di giovani da impiegare, che dal lato della domanda, con i consumi che si spostano verso i prodotti per la terza età (silver economy). Questo tipo di scenari è molto preciso nella sua evoluzione, in quanto i cambiamenti demografici si modificano molto lentamente nel corso del tempo (a meno di grandi guerre o epidemie), e definiscono esattamente la numerosità delle diverse coorti di cittadini da qui ai prossimi 50 anni. Il problema che invece rimane insoluto riguarda i flussi migratori che si associano alla crescita demografica di alcuni continenti (vedi Africa) e al declino dei continenti contigui (vedi Europa), rimanendo un problema principalmente politico.

Infine, nel campo delle previsioni economiche, gli enti che tentano di prevedere l’andamento dei mercati e delle macro variabili economiche forniscono rapporti molto interessanti nella descrizione degli scenari (che di solito si dividono tra scenario di base, scenario ottimista e scenario pessimista), piuttosto che nel dato previsivo sulla singola variabile macro (come la crescita del Pil o dell’inflazione), perché molto spesso quest’ultimo risulta errato ex-post a causa degli eventi imprevisti (e cioè non immaginati nella descrizione e costruzione degli scenari). I recenti errori commessi dalla Banca centrale europea, dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale, tanto per citare le fonti più autorevoli, riguardo l’inflazione statunitense ed europea, confermano che il cosiddetto “cigno nero” è sempre in agguato, e che quello che conta è farsi trovare pronti a respingerlo. Alcuni Paesi lo stanno facendo egregiamente, altri un po’ meno.

Fonte: Giampaolo Vitali, Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile, e-mail: giampaolo.vitali@ircres.cnr.it

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