“Decrescisti” di tutto il mondo, collaborate
Nel rapporto del Club di Roma “I limiti della crescita”, pubblicato 50 anni fa, vengono esaminate le ricadute ambientali delle attività umane. Evidenziando come la crescita incontrollata della popolazione e della produzione industriale porti all'esaurimento delle risorse naturali
Il “problema” - o, come avrebbe detto Aurelio Peccei, la “problematique” - è ormai sotto gli occhi di tutti: viviamo in una crisi, acuita prima dagli anni pandemici e poi dalla guerra russo-ucraina, che coinvolge le “tre E”: ecologia, economia, energia. Troppo spesso viste dai media come fenomeni scissi tra loro, intrattengono invece strette relazioni: il costo dell’energia si ripercuote sull’economia, alzando i prezzi e innescando inflazione e speculazioni, ma per reperire quella stessa (irrinunciabile) energia aggraviamo il cambiamento climatico.
Questa, in estrema sintesi, la premessa di quella “problematica” che Peccei e i suoi accoliti del Club di Roma intuirono nel 1968 (anno di fondazione del Club) e a cui diede sostanza nel celebre report, pubblicato esattamente cinquant’anni fa: “I limiti dello sviluppo”. La traduzione in italiano del titolo - pubblicato originariamente nella gloriosa collana Est, Edizioni scientifiche e tecniche di Mondadori - tradisce una sorta di captatio benevolentiae nei confronti dell’economia basata, allora come ora, sul “mito” della crescita. Il titolo inglese è infatti “The limits to growth”, “I limiti alla crescita”, evidenziando la sottile ma fondamentale distinzione tra i due termini. Una crescita economica indefinita, sembra impossibile, in un mondo dalle risorse finite. Eppure, allora come ora, la parola “crescita” e la parola “limite” sembrava non potessero stare nella stessa frase.
Nel report, basato sulla nascente scienza dei calcolatori, venne messa a punto una serie di scenari volti a rispondere alla domanda (nel 1970): se continuiamo a produrre, a inquinare e a riprodurci al ritmo attuale dove andremo a finire? Esamineremo le risorse del Pianeta? E se sì, quando? Tra le 11 possibilità descritte, solo un paio avrebbero permesso di evitare ciò che adesso stiamo sperimentando. A essere importante, però, è soprattutto il primo dei grafici mostrato nell’introduzione.
Il grafico è intuitivo: è concentrata vicino all’origine degli assi la maggior parte degli esseri umani, e la loro visione nello spazio e nel tempo è limitata al proprio circondario e alle poche persone che si trovano intorno. Non un giudizio, è la natura umana: siamo fatti così, siamo “cablati” come 2-300mila anni fa, quando Sapiens facevamo capolino nel bush africano e i pericoli erano quelli immediati e a portata di occhio o di naso. Per il resto, si sarebbe visto a tempo debito. Il grafico è inoltre una sorta di ammonimento che sembra dirci: possiamo dar vita a tutti gli scenari che vogliamo, possiamo applicare tutta la scienza e la tecnica che conosciamo, ma il problema, in primo luogo, ha a che fare con la nostra natura umana.
Il messaggio ebbe un’accoglienza controversa. Ma, al netto del messaggio e degli scenari descritti, costrinse a fare i conti con una verità innegabile: scienza e tecnica continuano a rispondere a moltissime domande.
Il problema era e resta “umano”.
Questa intuizione è ripresa dal Movimento per la decrescita felice che, nel proprio decalogo, parla espressamente di cambiamento di paradigma culturale:
- Cambiamento di paradigma culturale, diverso sistema di valori, diversa concezione del mondo, alternativa radicale al sistema di valori della crescita illimitata
- Vivere meglio consumando meno
- Consapevolezza della necessità e della bellezza di rallentare, proteggere la natura, gli animali e l’ambiente
- Rifiuto razionale di ciò che non serve
- Rivoluzione culturale che privilegia le valutazioni qualitative sulle misurazioni quantitative
- Rivoluzione dolce finalizzata a sviluppare le innovazioni tecnologiche che diminuiscono il consumo di risorse, l’inquinamento e le quantità di rifiuti per unità di prodotto
- Rapporti umani che privilegino convivialità e collaborazione piuttosto che competizione
- Percorso di consapevole sufficienza per superare l’abuso delle risorse del pianeta
- Riduzione del consumo delle merci che si possono sostituire con beni autoprodotti
- Benessere fisico e spirituale collettivo e individuale
Nel decalogo sono contenute istanze sia “ecologiste” e legate all’ecosistema umano (punti 3, 6 e 8), sia economiche (2, 9), sia sociali e “di relazione” (4, 5, 7 e 10). Per quanto non ci siano ricette precise su come declinare i punti vale la pena evidenziare l'aspetto sociale e relazionale. Se il paradigma economico-politico nel quale viviamo privilegia l’individualismo e quello energetico lo corrobora, l’idea di una socialità volta alla convivialità e alla collaborazione, anziché alla competizione, sembra rivoluzionaria e, verrebbe da dire, vincente perché non è immaginabile pensarsi come monadi.
Torna utile in tal senso l'aneddoto che mostra le differenze tra inferno e paradiso in due immagini. Nella prima si vede una cornucopia di cibo e bevande di ogni genere, di cui però i commensali non riescono a fruire perchè le posate in dotazione hanno manici troppo lunghi per essere rivolti verso la propria bocca. L'immagine successiva ritrae la stessa identica scena, ma le posate vengono usate nel modo corretto, imboccando gli altri ed essendone a propria volta imboccati. Ecco il paradiso: in una parola, cooperare.
Fonte: Luciano Celi, dell’Istituto per i processi chimico-fisici, e-mail: luciano.celi@cnr.it