Focus: Meno

Automotive, motore della ripresa

Automobile
di Giampaolo Vitali

Come mai abbiamo più crescita e meno auto? Secondo l’economista del Cnr-Ircres Giampaolo Vitali si tratta di un paradosso passeggero. Ma anche di un segno dei tempi, molto lontani da quelli dell'Avvocato Agnelli e della Fiat

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Nonostante la sostenuta crescita dell’economia italiana nel secondo trimestre di quest’anno sia la migliore di tutti i Paesi Ue e consolidi le positive previsioni sull’aumento annuale del Pil e sul calo del rapporto debito/Pil, non si registra alcuna dinamica positiva in uno dei settori nazionali più importanti, quello degli autoveicoli, che occupa migliaia di addetti e genera una buona fetta di ricchezza, se ne consideriamo tutta la filiera e l’indotto. Inoltre la produzione automotive, secondo le tavole intersettoriali dell’Istat, vanta assieme all’edilizia i coefficienti di attivazione dell’economia più elevati, innescando nuova produzione e quindi nuova occupazione in tutti i settori che a vario titolo ne sono fornitori diretti (meccanica, vetro, plastica, elettronica, ecc.) o indiretti (finanza, assicurazioni, manutenzione, riparazioni, ecc.). Questo fa sì che l’industria dell’auto sia spesso usata nei momenti di crisi per rilanciare l’economia: incentivando le vendite (così come le ristrutturazioni in edilizia) si aumentano la produzione e l’occupazione complessive. Si riavvia il motore della ripresa.

Cosa sta andando storto? Come si è rotto il legame tra la generale crescita dell’economia e il settore automotive? A questa domanda stanno cercando di rispondere molti economisti, con alterne ipotesi e conclusioni, ma tutte concordi nel ritenere che il problema non sia italiano bensì europeo, se non mondiale.

Partiamo dai dati statistici e cerchiamo di interpretarli separando le variabili congiunturali di breve periodo da quelle strutturali di medio-lungo termine. Le immatricolazioni in Italia dei primi sette mesi del 2022 sono inferiori del 20% circa allo stesso periodo del 2021. Se confrontiamo i dati con il 2019, l’ultimo anno prima della pandemia, siamo sotto di circa il 30%. Stesse affermazioni valgono per l’Europa, dove l’associazione dei produttori lamenta un calo generalizzato delle immatricolazioni di circa il 30% nel periodo gennaio-luglio 2022 rispetto al 2019. Quasi un’auto su tre non viene più comprata.

Meno immatricolazioni in Italia significano meno produzione e quindi meno occupazione, ma anche meno esportazioni dei nostri componentisti in Europa, a fronte di minori importazioni di auto estere, con conseguente crisi dei relativi concessionari. I dati statistici fanno emergere un problema strutturale, uno shock simmetrico che sta colpendo tutti i Paesi in modo contestuale.

Automobili parcheggiate

La teoria delle aree valutarie ottimali, alla base della costruzione del “Club dell’euro”, afferma che nei casi di forte crisi simmetrica, come accaduto con la pandemia Covid, la soluzione deve essere trovata a livello collettivo. Non servono tanto gli incentivi nazionali per rilanciare la domanda, quanto invece un programma di incentivi europei, in modo da rilanciare la domanda in sincronia temporale in tutto il sistema. Grazie alle interdipendenze delle catene di fornitura, le famose “global supply chain” che si stanno riorganizzando con visione continentale, più che mondiale, una maggiore domanda europea determinerà sicuramente una maggiore produzione generalizzata, perché tutti i Paesi sono connessi nello scambio di prodotti automotive, sia manufatti (soprattutto Spagna, Italia, Francia e Germania) che di servizi (come Olanda, Belgio, Lussemburgo).

Lo shock deriva probabilmente dalla scelta, politica più che industriale, di perseguire la decarbonizzazione dell’economia e della società europea con un target temporale ben preciso: nel 2035 non potranno più essere immatricolate automobili a combustione interna e pertanto la quota di elettriche, che attualmente è di pochi punti percentuali, deve salire al 100% delle nuove immatricolazioni. Un obiettivo oggettivamente difficile da raggiungere senza profondi cambiamenti infrastrutturali (rete di ricarica, di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, smaltimento batterie esauste, ecc.) e di comportamento dei consumatori (dati i maggiori costi iniziali delle auto elettriche).

Nel momento in cui la Commissione europea ha “gettato il cuore oltre l’ostacolo” proponendo una veloce transizione energetica, tutte le case si sono trovate con un catalogo di auto elettriche ridotto e poco attrattivo e i consumatori non hanno fatto altro che aspettare l’evoluzione dell’offerta (senza quindi rinnovare il parco auto, anche se datato). Secondo alcuni è un semplice problema di discronia tra decisore politico e operatore economico, per altri è un serio problema di tenuta dell’occupazione e dei redditi.

Se la prima ipotesi è valida, le previsioni più ottimistiche dicono che nel giro di 3-4 anni l’offerta di nuove Bev (auto elettriche) soddisferà la domanda, con una rapida crescita del peso sul totale immatricolato. Tuttavia, le stesse previsioni continuano a essere molto fosche per il 2022 e, soprattutto, per il 2023. Infatti, nel breve periodo la crisi da domanda è causata soprattutto dalla crisi di offerta, con i produttori che, a corto di chip e di materie prime (carenza causata dai postumi del lockdown, nel 2021, e dall’inflazione, nel 2022), non riescono a produrre le quantità richieste. I consumatori si trovano davanti a uno scenario poco attrattivo: non c’è una gamma completa di auto elettriche di ultima generazione e scarseggiano anche quelle “tradizionali”. Pertanto, si astengono dall’effettuare un “incauto acquisto”.

Le variabili che hanno determinato la rottura del legame tradizionale tra la crescita dell’economia e quella del settore auto sono pertanto numerose e complesse, ma confermano che la frase dell’Avvocato Agnelli, “Ciò che va bene alla Fiat va bene all’Italia”, con l’azienda che rappresentava l’intera filiera automotive e non solo se stessa, non trova più applicazione nell’attuale congiuntura. Il legame potrà tornare in auge nel prossimo futuro, quando lo scenario geopolitico mondiale si rasserenerà e il percorso verso la transizione energetica sarà pienamente attivato.

Fonte: Giampaolo Vitali, Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile, e-mail:  giampaolo.vitali@ircres.cnr.it