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Alessio Figalli: "Ho i numeri ma non sono un genio"

Alessio Figalli
di Cecilia Migali

Dopo una laurea e un dottorato alla Normale di Pisa e all'École Normale Supérieure di Lione, a soli 25 anni diventa docente all’Università del Texas e a 34 conquista la prestigiosa medaglia Fields. Appassionato di matematica fin da bambino, non pensava però che sarebbe diventata il suo mestiere. "Anche la mia disciplina può essere affascinante come astrofisica e ambiente"

 

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Il matematico romano Alessio Figalli, 38 anni, ha bruciato le tappe: laurea a 22 anni alla Normale di Pisa, dottorato di ricerca a 23 sempre alla Normale e presso l'École Normale Supérieure di Lione. L’anno successivo è docente presso l'École Polytechnique di Parigi, a 25  diventa professore all’Università del Texas e vince nel 2018, a 34 anni, la medaglia Fields, il premio più prestigioso per i matematici under 40, riportando l’insigne riconoscimento in Italia, dopo ben 44 anni. Dal 2016 è docente presso il Politecnico di Zurigo. “Mai avrei pensato di riuscire a ottenere obiettivi così alti. Forse, se sono riuscito è perché non mi sono mai sentito troppo speciale o un genio, come spesso vengono dipinti i matematici, perché so che per premi di questo livello ci sono più persone meritevoli di quanti premi siano disponibili. Poi, oltre al talento e all’impegno, ci vuole anche un po’ di fortuna essere al momento opportuno al posto giusto, riuscire a lavorare su problemi giusti. Da piccolo sognavo come tanti bambini di fare il calciatore, ma ben presto ho capito che non avevo speranze; invece, più gli anni passavano, più mi rendevo conto che i numeri mi piacevano e mi risultavano anche alquanto facili, con la matematica mi trovavo a mio agio”.

E così?

"Le cose sono arrivate un po’ una dopo l'altra ho messo tante energie nello studio e sono riuscito a laurearmi con un anno di anticipo. Da lì in poi è avvenuto tutto molto velocemente, ma ho sempre mantenuto i piedi per terra, cercando semplicemente di fare del mio meglio. Per ottenere risultati così importanti ci vuole tantissimo impegno e anche un po’ di fortuna"

Poi è arrivata la Medaglia Fields, il cosiddetto Nobel per la matematica

"Il problema di premi così importanti è che da una parte danno motivazione e soddisfazione, dall’altra potrebbero anche schiacciare, soprattutto quando si è giovani. Quindi, non ci penso troppo".

Oltre al talento, lo dicevamo prima, ci deve essere molto studio. Quanto ha dovuto sacrificare della sua vita personale per la matematica?

Personalmente non ho vissuto niente come un sacrificio. È chiaro che ho dovuto fare delle scelte, a volte anche impegnative: finché studiavo a Pisa ero vicino alla mia famiglia e agli amici di Roma. E nel collegio della Normale, vivevo la quotidianità con i miei compagni: corsi, mensa, svaghi.  Poi già a 23 anni mi sono trasferito a Nizza, a 24 ero a Parigi. Ora può sembrare una cosa normale in un mondo sempre più globale, ma all’epoca non era così scontato. Sei mesi dopo, nel 2009, il Texas è stato un grande salto di vita, un Paese nuovo, dove non conoscevo molte persone e gli italiani erano davvero pochi. Guardando indietro rifarei tutto assolutamente. Ripeto: sono stato anche molto fortunato, ovunque sia andato per i miei studi e il mio lavoro ho sempre trovato persone fantastiche e costruito belle amicizie. L’unico neo era dover ricominciare ogni volta da capo.

I suoi prossimi traguardi?

sono le linee di ricerca su cui scelgo di lavorare. Ora guardo a problemi nuovi che mi interessano e cerco di non preoccuparmi del risultato finale, ma solo di fare ricerca, seguendo un po’ la stessa filosofia di quando ero studente.

È sempre stata una sua aspirazione diventare uno scienziato dei numeri o da adolescente pensava di fare altro?

Da bambino, a parte il sogno del calcio immaginavo mestieri tipo pompiere o poliziotto. Più mi rendevo conto che i numeri mi piacevano e mi risultavano facili, più pensavo che sarei diventato un ingegnere: nella mentalità comune quando qualcuno è bravo coi numeri o fa economia o fa ingegneria. Verso la fine del liceo, con le Olimpiadi della matematica, ho conosciuto tanti ragazzi che volevano fare questa facoltà e che volevano fare ricerca in matematica. Io neanche sapevo si potesse farne, pensavo che ormai non ci fosse più niente da scoprire. Alla fine mi è andata bene. Però non era scontato, perché la matematica da “professionista”, è molto diversa e molto più affascinante di quella che studiamo a scuola o anche di quella delle olimpiadi. Se può piacerti davvero lo scopri solo al momento.

Alessio Figalli

Ritiene che possa essere divulgata, come si fa con l’astronomia o le scienze della terra?

Il problema è che la divulgazione richiede molto impegno e per la matematica c’è il pregiudizio che si tratti di una materia molto noiosa, arida, difficile da capire e quindi è più facile trovare divulgatori in altre discipline che tra i matematici: oggettivamente discipline come le scienze dalla terra o l’astronomia esercitano un fascino immediato e si possono divulgare attraverso immagini e racconti, sono facilmente visualizzabili. Anche la matematica si può raccontare e può affascinare, ma ci vuole anche un po’ di buona volontà lo stereotipo. “Tanto io la matematica non l'ho mai capita, non fa per me” è sbagliato, perché tutti potremmo raggiungere un livello buono in matematica, senza arrivare a livelli avanzati. Credo che si potrebbe fare uno sforzo maggiore a scuola. Si passa tanto tempo a insegnare argomenti noiosi per gli studenti perché non ne vedono il fine. Aggiungere un po’ di esempi, qualche applicazione, vedere aspetti che dimostrino la ragione dell’esistenza di questa disciplina potrebbe stimolare la curiosità dei ragazzi.

A un bambino che le chiedesse cos’è la matematica e a cosa serve, cosa risponderebbe?

Non è facilissimo. Direi innanzitutto che la matematica è un linguaggio che permette di tradurre in formule problemi pratici che l’uomo ha dovuto affrontare nel corso del tempo. È una disciplina profonda, che entra nella vita di tutti i giorni senza che ce ne accorgiamo. Si potrebbero fare tanti esempi. Pensiamo alla musica che i bambini iniziano a studiare già da piccoli. Sappiamo che le composizioni musicali sono fatte di sovrapposizione di note fondamentali che variano su diverse frequenze. La matematica prende un suono e lo trasforma da vibrazione in somma di frequenze. E ancora la televisione, la radio, whatsapp sono strumenti che si basano sulla matematica. Ecco, diciamo che inizierei così, ci vuole un po’ per spiegare, ma non credo che i bambini non possano capire, perché sono spugne, comprendono molto di più di quello che pensiamo.

Secondo lei di cosa ha bisogno la ricerca in Italia oggi? E le scienze dure?

In Italia la ricerca ha bisogno di finanziamenti, è un dato di fatto. Se guardiamo a quanta percentuale del Pil viene data in Italia alla ricerca, siamo tra le medie più basse europee, e questo vuol dire anche perdita di ricchezza. Basta guardare i numeri: sono i Paesi che sviluppano ricerca che poi hanno una crescita maggiore, anche a livello economico. Pensiamo agli sviluppi tecnologici, industriali avanzati e innovativi. La matematica per certi aspetti è una disciplina fortunata, perché ha bisogno di meno finanziamenti, non necessita di laboratori. Se guardo quanto costa un laboratorio per un biologo, non ci sono confronti. Certo anche i matematici hanno comunque bisogno di risorse adeguate.

Dobbiamo suggerire ai giovani di cercare lavoro all’estero?

Almeno nel mio settore posso dire che in Italia si fa matematica ad alto livello. Quindi non è indispensabile andare all'estero. In particolare ora, dopo un lungo periodo di blocco, le università stanno di nuovo assumendo e questo è un ottimo segnale.

Libro e film preferiti?

Per entrambe le categorie mi piacciono molto i gialli. La mia passione è però lo sport: sono tifoso della Ferrari e romanista, ho la maglietta di Totti in ufficio.

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