Francesco Bocciardo: “Fate crescere i sogni”
Il nuotatore genovese classe 1994, affetto dalla nascita da diplegia spastica, si è avvicinato allo sport come forma di terapia. Fresco del doppio oro conquistato ai Giochi paralimpici di Tokyo, nelle gare 100 e 200 metri stile libero per la categoria S5, esorta i giovani - disabili e non - a credere nei propri obiettivi
Il “suono” delle medaglie paralimpiche – ottenuto con un particolare accorgimento per cui risuonano di sfere metalliche, così da permettere un'esperienza sensoriale anche a chi non vede - Francesco Bocciardo (secondo atleta paralimpico a essere intervistato dall'Almanacco, che ha incontrato anche il campione di handbike Luca Mazzone) - lo conosce molto bene. Oggi per lo straordinario doppio oro a Tokyo (primo nei 100 e 200 metri stile libero nella categoria S5, dove ha conseguito anche un nuovo record paralimpico: 2'26"76); cinque anni fa vincendo la finale dei 400 ai Giochi di Rio de Janeiro. Il nuotatore genovese classe 1994 è affetto dalla nascita da diplegia spastica (non muove gli arti inferiori) e si è avvicinato allo sport come forma di terapia. Il suo palmarès conta anche cinque medaglie agli europei di Dublino nel 2018, due ai campionati europei di Funchal nel 2016 e una ai campionati mondiali di Glasgow del 2015. Successi che si affiancano a importanti riconoscimenti istituzionali: il Comitato paralimpico italiano gli ha assegnato per ben due volte l'onorificenza del Collare d'oro al merito sportivo (2019 e 2016), la città di Genova gli ha tributato il premio Municipalità, definendolo un modello per lo sport e per la città intera. Francesco è, infatti, fortemente impegnato nel sensibilizzare la comunità disabile sull'importanza di uscire dall'isolamento. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente a Tokyo, mentre si trova ancora con la nazionale.
Francesco, si aspettava queste medaglie?
No, non me le aspettavo affatto, anche se ci speravo. Inutile dire che sono strafelice! Nei 200 risultavo tra i favoriti, ma le Paralimpiadi sono giochi particolari, spesso caratterizzati da colpi di scena proprio a scapito dei favoriti. La vittoria nei 100 a stile libero è stata ancora più incredibile perché non sono un velocista ma un mezzofondista: ha premiato il lavoro intenso e costante svolto in questi anni con il mio allenatore Luca Puce. Abbiamo strutturato bene la gara, ho dato il massimo, ma non sapevamo dove saremmo arrivati.
Si definisce un “workaholic”: quanto lavoro c'è dietro ai suoi successi?
Molto. Nel nuoto, e in generale nello sport agonistico, la cura dei dettagli è un aspetto fondamentale; in gara ci giochiamo tutto in una manciata di secondi, per cui è importante lavorare su tutti gli aspetti, non tralasciare nulla, limare laddove si intravede ogni possibile margine di miglioramento. Bisogna essere metodici in acqua e fuori, lavorando sia dal punto di vista della preparazione della gara e della tecnica, sia curando aspetti come l'alimentazione, il sonno, la preparazione psicologica. Tutto conta, compreso l'uso dei materiali giusti, quelli più performanti e, non ultimo, il fatto di conoscere bene la gara e ricreare, anche nelle sessioni di allenamento, condizioni il più possibile simili a quelle che si dovranno affrontare in vasca.
Impegno, tenacia, tecnologia, preparazione… se torna ai suoi primi anni in vasca che ricordi ha?
Quando penso ai primi anni di nuoto vedo un ragazzino che era un pezzo di marmo in acqua, che non riusciva a muoversi, rigido… ma che già aveva voglia di riuscire a conquistare metri. Una tenacia che ha fatto sì che l'acqua diventasse il mio primo ambiente, tanto da trovarmi meglio lì che sulla terraferma.
Nel 2019 è intervenuto alla tavola rotonda “Il Superdisabile, analisi di uno stereotipo” che il Cnr ha organizzato con la Regione Liguria durante la manifestazione “Orientamenti”. Oggi, a fronte dei suoi successi sportivi, si definirebbe anche lei così?
Il termine “superdisabile” rischia di essere fuorviante rispetto a chi non ottiene queste prestazioni, preferisco pensare che partiamo tutti dallo stesso livello. Certo, alcuni di noi sono più dotati e raggiungono risultati migliori, ma questo accade in ogni campo, non solo nello sport e non solo nello sport per disabili. Dal punto di vista mediatico, l'Italia ha iniziato a conoscere i Giochi paralimpici soprattutto con l'edizione di Londra del 2012, è lì che si è resa conto che i partecipanti non sono “atleti disabili”, ma semplicemente atleti, e come tali capaci di grandi prestazioni. In qualche modo, manifestazioni come le Paralimpiadi portano a superare il concetto stesso di disabilità: nella quotidianità, siamo tutti “super” quando raggiungiamo un obiettivo per il quale abbiamo lavorato.
Com'è la sua giornata tipo? C'è spazio per altro oltre al nuoto?
Entro in acqua alle 7.00 del mattino e ci resto per almeno due ore, poi inizia la mia giornata di lavoro, come per tutti. Una routine impegnativa ma che amo; riesco comunque a trovare tempo per la famiglia, gli amici, la mia ragazza Camilla e per i miei hobby: ascoltare musica, leggere fumetti, informarmi su ciò che succede nel mondo. Dedico anche tempo a promuovere lo sport, incontrare le persone… Per cui sì, senz'altro c'è altro nella mia vita, oltre al nuoto.
Come ha vissuto il Covid? Quanto ha influito sulla sua quotidianità?
Con la pandemia abbiamo tutti dovuto imparare a convivere, il fermo imposto alle attività sportive, poi, è stato particolarmente pesante per noi atleti, soprattutto quando non si sapeva ancora che Olimpiadi e Paralimpiadi sarebbero state rimandate. Paradossalmente, il lockdown mi ha regalato più tempo da trascorrere con i miei affetti, anche se tramite videochiamate o telefonate; ho colto l'occasione anche per leggere di più e per allenarmi con esercizi “a secco”, diversi da quelli a cui sono abituato. Mi ritengo fortunato perché ho una vita piena, completa. Dal punto di vista psicologico ho vissuto l'epidemia come una parentesi brutta, ma non orribile.
Pensa che lockdown e pandemia abbiano limitato maggiormente le persone disabili?
Senz'altro sì nelle realtà in cui lo Stato è meno presente o dove l'amministrazione non mette a disposizione servizi adeguati. Questo discorso, però, va oltre l'emergenza Covid, le persone disabili si sentiranno sempre limitate dove la società non offre servizi congrui rispetto ai vari tipi di disabilità.
Che messaggio sente di portare con le sue gare ai giovani?
Il mio messaggio è: provateci, provateci comunque, anche quando può sembrare impossibile o irrealizzabile, non mollate. Chiunque abbia un sogno - giovane disabile o no - deve accudirlo, proteggerlo, farlo crescere e lavorare per realizzarlo.
Quanto peso ha la ricerca scientifica nel supporto alle disabilità?
Relativamente allo sport, dipende dalla disciplina. Il nuoto è uno sport che non richiede particolari attrezzature, ma ci sono settori in cui l'innovazione può fare la differenza, soprattutto dal punto di vista dei materiali. In generale, la ricerca scientifica è fondamentale nell'individuare soluzioni che permettano di vivere meglio le situazioni di menomazione. Oggi, ad esempio, molti miei compagni di nazionale hanno il “triride”, un motore attaccato alla carrozzina che permette loro di muoversi più agevolmente e velocemente, facilitando notevolmente la vita a chi ha problemi anche agli arti superiori. Ma sogno un futuro in cui la ricerca possa aiutare a prevenire le condizioni di disabilità.