Narrativa

Dalla bonifica delle paludi alla battaglia del grano

Copertina
di Marco Ferrazzoli

Mussolini a torso nudo che miete nei campi, la “guerra contro l’acqua” nella palude pontina, sono le principali icone della politica ambientalista nel Ventennio. Ma quella fascista non è un’ecologia simile a quella che soggiace alla cultura nazista, né una wilderness: semmai, è un’ideologia di governo della natura da parte dell’uomo. Questo il tema al centro dell’originale saggio di Marco Armiero, Roberta Biasillo e Wilko Graf Von Hardenberg “La natura del Duce” (Einaudi)

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“Fra dieci anni o camerati, l’Italia sarà irriconoscibile!”. È un Benito Mussolini perentorio, come di consueto, quello che arringa la folla per mettere in chiaro l’idea fascista di trasformazione che ha in “bonifica” una parola chiave. Ma qual è il reale interesse fascista per l’ambiente, esiste un’ideologia della natura mussoliniana, qualcosa di anche solo simile al movimento “verde” che, secondo una tesi controversa, avrebbe avuto un ruolo nella cultura nazista?

Difficile dirlo. La celebrazione del mondo rurale contro il mondo urbano nel Ventennio è forte ma già l’idealismo di Giovanni Gentile, ministro nemico delle scienze naturali nella Pubblica Istruzione, rappresenta un ostacolo insormontabile per parlare di un regime “ecologista”. “Quando parliamo di ecologia politica fascista intendiamo parlare di come il regime abbia sviluppato un’idea e una pratica della natura funzionale al suo discorso politico”, ridimensionano Marco Armiero, Roberta Biasillo e Wilko Graf Von Hardenberg, autori per Einaudi de “La natura del Duce”.

Il libro conferma insomma la storia ambientale del fascismo non come una “tutela della natura”, ma come un governo che procede a passi di riforestazioni, progetti idroelettrici, messa a valore della natura, mescolando storia e modernità, visioni autarchiche e progetti imperiali. Nei capitoli si illustrano – oltre ai due casi principali, la bonifica pontina e la battaglia del grano - il motore a gasogeno, la creazione dei parchi naturali, le colonie e il paesaggio. Gli autori cercano di “esplorare come ingredienti tanto diversi fossero mescolati e interagissero nel grande pentolone del discorso fascista”.

Si parte con un’esplorazione della figura di Mussolini attraverso le biografie di Margherita Sarfatti e della moglie Rachele. Immagine chiave, per la prima, quella del duce dietro le sbarre che accarezza Italia, una leonessa regalatagli nel 1923 dal proprietario di un circo. Rachele preferisce invece scrivere dei cani e gatti adottati dal marito e dei suoi adorati cavalli (“Spunta il sole, canta il gallo / O Mussolini, monta a cavallo” erano i non memorabili versi di un Curzio Malaparte ancora non antifascista). Se Sarfatti insiste sulla forza del duce, la moglie sembra focalizzarsi sulle debolezze dell’uomo. Ma certo “le biografie non restituiscono l’immagine di un Mussolini verde à la Hitler, magari vegetariano”.

Quella fascista non era una celebrazione della natura in forma di Wilderness. Piuttosto, un ibrido dove l’intervento dell’uomo è determinante. Arnaldo, fratello del duce, direttore del quotidiano del partito e guida del Comitato nazionale forestale, il gerarca cui più spettò il ruolo di conciliare le due sensibilità, in un discorso declamava: “Il paesaggio ha la sua importanza ma noi non lo subordineremo mai agli interessi veri e reali dell’economia montana”. Non a caso, le due più famose politiche agrarie del regime furono la “bonifica integrale” e la “battaglia del grano”. Come affermò Mussolini il 30 luglio del 1925: “La battaglia del grano, o signori, significa liberare il popolo italiano dalla schiavitù del pane straniero. La battaglia della palude significa liberare la salute di milioni di italiani dalle insidie letali della malaria e della miseria”.

In realtà, avvertono gli autori, i progetti rimasero in parte parole: “Sebbene il regime dichiarasse la vittoria nella guerra sull’acqua con la bonifica di quattro milioni di ettari (la metà di quanto preventivato), di questi due milioni erano ancora in corso d’opera e un milione e mezzo era in realtà stato bonificato dai governi liberali prima del 1922”. Eppure, nella percezione pubblica internazionale, la bonifica fu un successo. Dal Recorder in Australia alla rivista britannica Spectator, dal Journal of the Royal Society of Arts fino al Times si decantava la bonifica come “un concetto che esprime un ampio spettro di sentimenti patriottici”. Persino la Review della American Geographical Society descrisse la trasformazione del paesaggio prodotta dalla bonifica come “quasi miracolosa”.

L’idealizzazione dell’impatto trasformativo del regime sul paesaggio del Paese divenne una parte importante del patrimonio iconografico del regime. Così come “Mussolini con le ben note immagini al lavoro nei campi divenne l’epitome della battaglia fascista per la trasformazione del paesaggio e la creazione di una nuova bellezza”. Segno di come la potenza dello storytelling sulla percezione non sia certo un’invenzione contemporanea.

Titolo:  La natura del duce
Categoria: Narrativa
Autore/i:  Marco Armiero, Roberta Biasimo
Editore:  Einaudi
Pagine: 216
Prezzo: 22,00