Focus: Inclusione

Covid, poche esperte

Covid-19
di Marco Ferrazzoli e Laura Marozzi

La visibilità mass mediatica delle donne scienziato sui temi relativi al Covid-19 e alla pandemia è scarsa, con un enorme divario che separa le ricercatrici dai colleghi uomini. Ilaria Capua è la sola eccezione che sfida il protagonismo maschile

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“Poco esperte. L’emarginazione delle donne scienziato sui giornali italiani nell’expertise sulla pandemia” è lo studio quanti-qualitativo pubblicato su “Metis. Ricerche di sociologia, psicologia e antropologia della comunicazione”, rivista edita da Cleup, con il quale è stato indagato il ruolo delle scienziate nel rilascio di expertise su Covid-19 su alcuni dei principali quotidiani nazionali. L’analisi ha evidenziato un trattamento giornalistico che solo in rarissimi casi lascia alle ricercatrici il proscenio, preferendo comunque affiancare loro, persino nei casi in cui siano le autrici delle scoperte di cui si parla, figure di superiori o colleghi maschi, quasi a certificare l’informazione rilasciata. Mentre la rivista Science la americana classe 1984 Devi Sridhar come esempio di ricercatrice che con la pandemia si è trasformata in una star mediatica, in Italia lo spazio concesso alle donne dai media durante l’emergenza sanitaria è risultato minoritario e limitato a pochi nomi.

L’analisi ha riguardato le ricorrenze - sul Corriere della Sera, La Repubblica e Il Giornale nel biennio 2020-2021 - declinate al maschile o al femminile, di un set di parole chiave riguardanti i concetti di scienziato/a, nonché di alcune specializzazioni d’interesse nel discorso sulla pandemia. In totale, risultano 5.804 risultati al maschile e 1.211 al femminile, ovvero rispettivamente l’82,74% e appena il 17,26% del totale. Più in dettaglio, Repubblica concede agli scienziati maschi l’81% dello spazio, il Corriere l’84%, il Giornale l’86%. La radice ‘epidemiolog*’ ha restituito 707 declinazioni al maschile contro 126 al femminile – l’84,87 e il 15,13% del totale; ‘espert*’ rispettivamente 1.570 contro 349 - l’81,81 e il 18,19%. Per ‘infettivolog*’ sono stati ottenuti 708 risultati al maschile contro 51 al femminile - il 93,28 e 6,72%; per ‘ricercator/trice’ le occorrenze sono state 685 contro 267 –71,96 e 28,04%; per ‘scienziat*’ 485 contro 132 - 78,60% e 21,40%, mentre, infine, per ‘virolog*’, rispettivamente le citazioni al maschile si sono rivelate essere 1.649 a fronte di 286 al femminile – l’85,21 e 14,79%. Se si circoscrive l’analisi alle donne che ‘fanno titolo’, cioè le scienziate protagoniste degli articoli, i numeri si riducono poi a 12 per il Corriere, 24 per il Giornale e 97 per Repubblica.   

Al fine di confermare il risultato, il monitoraggio è stato allargato all’informazione sulla pandemia di altri cinque quotidiani nazionali nel 2020: Avvenire, Il Gazzettino, Il Messaggero, Il Resto del Carlino e Il Sole-24 ore. In tutti è stato confermato uno schiacciante predominio della scienza al maschile, mediamente per l’86% degli articoli. Quasi un monopolio massmediatico, insomma, che peraltro non corrisponde all’effettiva prevalenza dei maschi nelle branche di specializzazione esaminate, pur esistente, in termini numerici assoluti e di produttività scientifica.  La rappresentazione massmediatica accentua cioè la misoginia della realtà.

Ilaria Capua

Ilaria Capua

L’unica donna che riesce a contrastare il dominio maschile è Ilaria Capua, mentre scienziate illustri come la senatrice a vita Elena Cattaneo ed Eugenia Tognotti ottengono solo pochissimi, sporadici spazi. Interessanti, inoltre, le modalità di rappresentazione mediatica della donna scienziato, di cui è emblematico il caso delle ricercatrici dell’ospedale romano “Lazzaro Spallanzani” Maria Rosaria Capobianchi, Concetta Castilletti e Francesca Colavita, che il 3 febbraio 2020 arrivano alla prima pagina del Corriere per avere isolato il ceppo cinese del virus, prime in Italia. Pochi cenni al dettaglio scientifico, diluiti in una scrittura di taglio emotivo, che evidenzia l’eccezionalità del risultato “al femminile” e sottolinea le difficoltà delle scienziate nel coniugare il lavoro con le necessità della famiglia e dei figli, fino a evidenziare nel sottotitolo non gli aspetti scientifici bensì quanto sia “prezioso avere un marito che cambiava i pannolini e si alzava la notte per i figli”.

Quest’attenzione per gli aspetti privati riservata alle ricercatrici, sottolinea la presidente del Consiglio nazionale delle ricerche Maria Chiara Carrozza,  è indice dello stereotipo per il quale lavori domestici e impegni famigliari spetterebbero solo alle donne: “La cura dei figli è un'opportunità per entrambi i genitori. Noto che questa domanda viene rivolta solo alle donne che svolgono incarichi di rilievo, è anche questo indice di un pregiudizio che dovremmo correggere”.

Emblematici della propensione giornalistica per l’esperto al maschile, infine, due episodi. Lo scarso rilievo riservato alla squadra che per prima ha isolato il ceppo italiano del virus presso l’Ospedale ‘Luigi Sacco’ di Milano: nell’articolo a dare l’annuncio della scoperta non è la responsabile del team, l’immunologa Claudia Balotta, ma il primario di Malattie infettive Massimo Galli. E lo spazio di cinque righe dedicato a Maria Rescigno, ordinario di Patologia generale all’Ospedale Humanitas di Milano e coordinatrice del primo studio epidemiologico italiano di grandi dimensioni sulla risposta immunitaria al Covid-19, in un ampio articolo dove si notano le tredici righe di Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Humanitas.

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