Focus: Anniversari

Una pecora da Nobel

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di Anna Maria Carchidi

Sono passati 20 anni da quando venne clonata Dolly. Da allora lo studio della genetica ha fatto passi in avanti, ma di quel risultato cosa è rimasto? Ne abbiamo parlato con Paolo Vezzoni dell'Istituto di ricerca genetica e biomedica del Cnr

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Era il 1996, anche se l'annuncio venne dato solo l'anno successivo, quando in Scozia, in un laboratorio a pochi chilometri da Edimburgo, nacque il primo essere vivente clonato. Nei suoi sei anni di vita, prima di essere soppressa perché colpita da una malattia invalidante, la pecora Dolly divenne una star mondiale. “Dolly ha lasciato una grande eredità scientifica anche se uno dei suoi creatori, Keith Campbell, il giorno prima dell'assegnazione del Nobel a John Gurdon e a Shinya Yamanaka per le loro ricerche sulla possibilità di riprogrammare cellule adulte in cellule staminali pluripotenti (iPS), si tolse la vita, forse per non aver ottenuto il riconoscimento che si aspettava”, ricorda Paolo Vezzoni, dell'Istituto di ricerca genetica e biomedica (Irgb) del Cnr.

La pecora Dolly è un esempio di come ciò che viene ritenuto impossibile possa diventare realtà. “Tutte le cellule degli organismi di una certa complessità derivano da un'unica cellula embrionale che continua a dividersi e a produrre cellule 'mature' molto diverse l'una dall'altra: neuroni, epatociti, linfociti, fibroblasti, osteoclasti e così via”, spiega il ricercatore. “Il contrario non succede, almeno per gli organismi superiori, anche se, decenni prima di Dolly, alcuni ricercatori che lavoravano sugli anfibi avevano in parte dimostrato che una cellula matura può percorrere a ritroso il tragitto e tornare a essere una cellula embrionale. All'inizio degli anni Novanta però, quando si era tentato di ripetere gli esperimenti sui topi, i risultati non erano stati buoni e si era concluso che nei mammiferi il percorso inverso non fosse possibile. Ian Wilmut, Keith Campbell e i loro colleghi hanno invece dimostrato di sì, facendo nascere Dolly secondo la procedura del trasferimento nucleare in ovocita (clonazione): il nucleo di una cellula matura trasferito in una cellula uovo si 'riprogramma', e può trasformarsi in qualsiasi cellula”.

Questo risultato scientifico ebbe un'importanza enorme e una forte risonanza mediatica. “In quegli anni si iniziavano anche valutare le potenzialità, dal punto di vista etico e sociale, del sequenziamento del genoma umano e della terapia genica. Basti dire che le cellule staminali pluripotenti non sarebbero neanche state pensate senza la dimostrazione della riprogrammazione del nucleo cellulare”, continua Vezzoni. Tante erano le aspettative in campo scientifico, per esempio 'resuscitare' specie animali estinte, ma anche in campo economico. “Dal punto di vista commerciale le attese non sono state però rispettate: molte società che avevano investito nella clonazione effettuando ricerche di livello elevatissimo sono fallite”.

Anche l'applicazione clinica si è rivelata difficile. “Ci vogliono anni di test in vitro e in vivo prima di poter arrivare alla sperimentazione sull'uomo. Le cose non sono andate meglio negli animali: sono state clonate oltre 20 specie, compresi gatti, cani e cavalli, ma il ritorno pratico è stato modesto", conclude Vezzoni. “Per la maggior parte dei grandi animali la clonazione rimane comunque il metodo migliore per produrre esemplari transgenici: si modifica una cellula matura qualsiasi, ad esempio della pelle, e poi si usa il suo nucleo per la clonazione. Il maiale forse è la specie più studiata in tal senso, in quanto potrebbe essere la fonte di xenotrapianti”.

Fonte: Paolo Vezzoni, Istituto di ricerca genetica e biomedica del Cnr , Milano, tel. 02/26422614 , email paolo.vezzoni@itb.cnr.it -

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