Saggi

L’ingegnere poeta: Trichilo tra Olivetti e Sinisgalli

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di Marco Ferrazzoli

“Sorbe acerbe” (Academ editor) è la raccolta di poesie di Riccardo Trichilo, già  manager in Magneti Marelli, Piaggio e Beretta, che ora guida la CSMT Innovative Contamination Hub. È la prima silloge dell'ingegnere, che raccoglie versi composti in un arco temporale molto ampio, quasi che l’autore sia stato finora trattenuto da una sorta di pudore rispetto alla sua storia professionale. Il titolo sembra confessare l’imbarazzo nel concedere una totale “maturità” a poesie che, pure, giungono da una ponderata sedimentazione

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La superstite meraviglia della critica e del pubblico verso la figura dello “scienziato letterato” rimanda a un equivoco storico-culturale datato, ma che ancora lascia tracce: le "due culture", per usare l'espressione di Charles Snow, che nel 1959 contrappose gli ottimisti e visionari uomini di scienza e di tecnologia ai letterati, sensibili al tragico. "Due gruppi di pari intelligenza, di identica razza, di estrazione sociale non molto differente, di reddito pressoché eguale" scrive Snow, "che, quanto ad atmosfera intellettuale, morale e psicologica, avevano così poco in comune che si sarebbe creduto di non essere andati da Burlington House a South Kensington a Chelsea, ma di avere attraversato un oceano".

In Italia la contrapposizione ha prodotto una prevalenza della cultura umanistica rispetto a quella tecnico-scientifica che Giovanni Gentile sostenne come ministro dell'Istruzione, ponendo il liceo classico al vertice della formazione scolastica, e Benedetto Croce sancì in ripetute espressioni denigratorie contro la matematica e le scienze sperimentali. Entrambi ingaggiarono tra l'altro accese dispute con Federigo Enriques, tra i più vivaci animatori della cultura scientifica italiana all’inizio del XX secolo, riducendone l'opera a "dilettantismo" e "vana speranza" e osteggiandone l’organizzazione del “Congresso internazionale di filosofia”.

A superare la diatriba basterebbe ricordare quanti grandi scienziati siano stati anche dei grandi poeti e narratori, o viceversa. Dal “De rerum natura” di Lucrezio, passando per Francesco Redi e Giacomo Leopardi, fino ad arrivare al best seller “Sette brevi lezioni di fisica” di Carlo Rovelli. Quanti autori hanno abbattuto i muri tra umanistico e scientifico, gettato ponti tra narrativa e saggistica: citiamo solo, tra i più recenti, il matematico Paolo Cognetti e il fisico Paolo Giordano, il chimico-giallista Marco Malvaldi, la fisica-fantasy Licia Troisi, il genetista-romanziere Guido Barbujani. Senza dimenticare ovviamente l’ingegner Carlo Emilio Gadda né, in rappresentanza di una lunga lista di poeti, il “tecnico” Salvatore Quasimodo, il fisico della Sapienza Università di Roma Sergio Doplicher, alias Sergio Doraldi, e il chimico Raffaele Ragone. Se non ci fossero i poeti, commentava Margherita Hack, le stelle non sarebbero che "enormi masse di gas puzzolenti e mortali".

Certi stereotipi hanno marcato la nostra cultura fino ai giorni d’oggi. Si pensi alla questione del “genere” negli studi e nelle carriere professionali. Oltre al “soffitto di cristallo” che ostacola le donne nel raggiungimento dei ruoli apicali, nelle cosiddette Stem - le discipline di scienza, tecnologia, economia e matematica - scontiamo un problema di disparità sin dall'ingresso nelle università, ancorché le performance di studentesse e ricercatrici non abbiano nulla da invidiare a quelle maschili (casomai il contrario…). La speculare, predominante presenza femminile in ambito umanistico e in professioni come l'insegnamento scolastico, conferma l’assioma.

In questo contesto, la raccolta di poesie dell'“ingegner” Riccardo Trichilo va opportunamente a scardinare residuali pregiudizi. Tenendo conto però che “Sorbe acerbe” è la sua prima silloge e che raccoglie versi composti in un arco temporale molto ampio, quasi che l’autore sia stato finora trattenuto da una sorta di pudore rispetto alla sua storia professionale. Anche il titolo sembra confessare l’imbarazzo nel concedere una totale “maturità” a poesie che, pure, giungono da una ponderata sedimentazione. Ricordiamo che Trichilo, tra l'altro, è stato manager in Magneti Marelli, Piaggio e Beretta, mentre ora guida la Csmt Gestione Scarl e il Polo Tecnologico di Brescia: un "incubatore diffuso delle idee", un hub per il trasferimento tecnologico, la valorizzazione e promozione della ricerca. Dove, inciso doveroso come capo Ufficio stampa del Consiglio nazionale delle ricerche, ha sede anche una sezione dell’Istituto nazionale di ottica del Cnr.

Rispetto a questa solida identità di “ingegnere”, la poesia che ruolo gioca? Diciamo intanto che i versi di “Sorbe acerbe” sono spontanei sul piano emozionale quanto controllati su quello formale, come non sempre capita tra i poeti non "laureati", per dirla con Montale. Vi si coglie lo sforzo dell’autore di trasmettere l'essenziale con sobrietà, un atteggiamento morale e mentale che cerca la vicinanza del lettore senza saccenza letteraria. Poesie che sono espressione del sé, misura interiore del tempo ma anche osservazione discorsiva, descrittiva. Per esempio in "Sono stato al mare ieri", con le metafore del battesimo, della conchiglia, del benefico abbandono nell’acqua. Oppure in "Una cena di salsedine e tempo": "Fuori il rumore del mare è. / Sempre diverso, ma è […] resina e salsedine della vita mia".  

L’attività professionale di Trichilo e la sua collaterale passione poetica, a ben vedere, convergono in una comune “visione”. Quella che l’autore ha tra l’altro lanciato nel corso “Manager per l’eccellenza nell’era 4.0” e con l’Innovative Contamination Hub. Una visione caratterizzata dall’integrazione tra industria e creatività, in cui le imprese si integrino nella società e nel paesaggio, costituiscano un habitat sicuro, performante e piacevole. Trichilo, nel suo lavoro, teorizza e persegue una convivenza tra cultura, società e impresa che definisce come "umanesimo industriale" e "pensiero sferico".

Merita ricordare che l’autore, nonostante molteplici esperienze professionali all’estero, è cresciuto e si è laureato a Pisa, città universitaria, della scienza, galileiana e, soprattutto, olivettiana. Fu qui che Adriano Olivetti, grazie a importanti collaborazioni, realizzò il primo calcolatore elettronico italiano, anticipando le intuizioni degli informatici statunitensi. La capacità di Olivetti di “vedere” il futuro si sposava a quella di raccogliere la “meglio gioventù” intellettuale e a una filosofia della "fabbrica" arricchita di valenza comunitarie: "Noi cerchiamo giovani laureati in matematica, letteratura, filosofia, scienze umanistiche. Per il nuovo calcolatore dobbiamo mettere insieme nazionalità, formazioni, culture diverse". Una “terza via” che partiva dal lavoro come base della dignità umana. Un progetto, un sogno, un’utopia o una profezia.

La visione poetica e manageriale di Trichilo rimanda poi a un altro fondamentale riferimento: Leonardo Sinisgalli, il "poeta ingegnere" per eccellenza, o "poeta delle due muse". "La matematica, la geometria, l'algebra, le macchine", scriveva il Corriere della sera nel 1970, "sono state e sono per Sinisgalli una continua lucida e insieme un po' febbrile metafora". Sinisgalli è stato una delle figure più originali nella letteratura italiana del ‘900: responsabile della pubblicità per Olivetti, Alfa Romeo, Pirelli, Finmeccanica, Eni e Alitalia; ha fondato e diretto riviste quali “Civiltà delle macchine”, sempre rimarcando l’incontro tra cultura, società, lavoro. Mettendo senza scandalo la parola al servizio di temi e committenti industriali, con un ottimismo che oggi appare incredibile, sostenendo la modernità come via di miglioramento della condizione umana, ma senza trascurare l’attenzione per un Sud visto quale mondo arcaico, abbandonato e stravolto dal progresso materiale.

Evidenziamo il rapporto di Sinisgalli con le radici lucane perché anche in “Sorbe acerbe” il legame con l’originario territorio calabrese ha un ruolo importante, a metà tra il “buèn retiro” e il «natio borgo selvaggio». Lo verifichiamo soprattutto nella sezione intitolata “Zagare e fichi d’India”: "Quando i pergolati grondavano di luce / e i bagliori del mare ferivano le pitte dei fichi d'India" (“La cometa di Hale”); "Come sacre vestali / della casa dei padri, / le giovani donne / mantengono acceso / il fuoco antico / del nostro nome, / sopra le radici" (“In Calabria”). "Scorre caldo, come il rossore sul volto delle giovani donne in amore, / muta effimero, come i fiori bianchi di bergamotto nelle notti di primavera gonfie di stelle, / batte duro e in cadenza, come le ruote del treno sui binari freddi nella piana del nord" (“Il tempo”). "Senti la terra, senti la terra come canta, / canta di vomeri e sudore, / di brocche e fichi d'India, / canta poesie a voce alta, / che i giovani alla sera sulla spiaggia, / bramosi di passioni e sogni, / bevono dagli anziani e portano lontano, / lontano oltre gli oceani, oltre il ricordo della lingua madre" (“Canta terra”).

Lasciata la parola all’autore, lasciamo al lettore il piacere e la valutazione di “Sorbe acerbe”, limitandoci a osservare come argomenti e oggetti che vi sono ospitati sembrino spesso distanti dall’esperienza professionale. Probabilmente Trichilo ricerca nella poesia anche uno spazio di distanza dagli impegni quotidiani, di terapia e catarsi dalla fatica del vivere e del lavorare. La formazione tecnica emerge però dalla strutturazione regolare di molte poesie, così come dalla loro precisa ripartizione in quattro capitoli: “Eroi usati e persi”, “Uno struzzo tra gli ulivi”, “A vita nuova”, “Generazioni di mutanti”. Una "mappa" precisa, segnata da titoli di marcata originalità. La cifra stilistica, i soggetti, i contorni sono chiari, l'introspezione non trascende nell’onanismo di talune prove poetiche, il cammino nel proprio mondo memoriale ed emozionale viene fatto presente a chi legge con garbo.

titolo: Sorbe acerbe
categoria: Saggi
autore/i: Riccardo Trichilo
editore: Academ editore
pagine: 84
prezzo: € 15,00

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