L'altra ricerca

Droghe pesanti? Il cervello ci fa il callo

Immagine
di Emanuele Guerrini

Le fibre nervose che permettono la comunicazione tra gli emisferi cerebrali potrebbero essere deteriorate dal consumo di una potente varietà di cannabis. Lo studio angloitaliano pubblicato su 'Psychological Medicine'

Pubblicato il

Ricercatori del King’s college London e dell’Università Sapienza di Roma hanno mostrato le differenze cerebrali esistenti tra chi assume la skunk, una potente varietà di cannabis, e chi invece utilizza tipi di marijuana più leggeri o non usa affatto droghe. Il principale responsabile del fenomeno, racconta Paola Dazzan, dell’Institute of Psychiatry del King’s College, è il Thc (tetraidrocannabinolo) il principio attivo della cannabis, contenuto nella skunk in concentrazioni che possono essere anche quattro volte superiori a quelle presenti nella varietà tradizionale di 'erba'. “Analizzando il corpo calloso si notano nella materia bianca differenze significative, tra chi usa cannabis particolarmente potente e chi non l’ha mai usata o ne usa in versione a basso contenuto di Thc”, spiega Dazzan.

I ricercatori hanno sottoposto 56 soggetti che avevano subito un episodio di psicosi e 43 volontari sani a due tipi di scansioni cerebrali, la risonanza magnetica (Mri) e il tensore di diffusione (Dti): le analisi hanno evidenziato nei consumatori quotidiani di skunk una diffusività media del corpo calloso maggiore del 2% rispetto ai non consumatori. “Vuol dire che la materia bianca è meno efficiente”, chiarisce Dazzan, “il che suggerisce un ridotto trasferimento di informazioni da un emisfero all’altro del cervello”. Danni al corpo calloso possono portare a malattie mentali e sintomi psicotici come allucinazioni, oltrechè a rallentare l'attività del cervello.

Lo studio, sottolineano gli autori, non ha ancora precisato il nesso causa-effetto tra consumo di cannabis e danneggiamento della materia bianca: potrebbe anche essere vero il contrario, ovvero che i soggetti con danni cerebrali preesistenti siano più portati a consumare cannabis. “È possibile che queste persone già da prima avessero una struttura cerebrale che li rende propensi all’uso”, conclude Dazzan. “Possiamo però dire con certezza che se si utilizza frequentemente una sostanza molto potente, il cervello è diverso da quello di chi ne usa una varietà più blanda o di chi non la usa affatto”. Secondo i ricercatori, è comunque urgente educare e formare i professionisti della salute, il pubblico e i responsabili politici circa i rischi connessi all'uso della cannabis.

Tematiche
Argomenti