Focus: Primavera

La rivoluzione dei fiori

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di Emanuele Grimaldi

La collaborazione tra le piante e gli insetti è stata una tappa essenziale nella storia evolutiva che ha portato alla capacità di distinguere i colori. Attraverso questi, l'informazione visiva acquista 'dettaglio' e precisione

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La primavera è la stagione del risveglio di piante e fiori, che ci regalano la visione di un mondo con mille colori. Capire il senso di questa esplosione cromatica significa ripercorrere la storia delle prime angiosperme (piante da fiore), che cominciarono a popolare il pianeta circa 130 milioni di anni fa, durante il Cretaceo. In un primo momento queste, per riprodursi, si affidarono al vento, che ne disperdeva il polline. I rischi insiti in tale sistema, tuttavia, erano elevati e l’evoluzione cercò allora una nuova soluzione: il connubio dei fiori con gli insetti. In un continuo sforzo evolutivo i primi si dotarono di profumi inebrianti, di petali e, soprattutto, di colori.

“Il colore dei fiori ha una funzione attrattiva per gli insetti o per gli altri animali che fungono da impollinatori. La scoperta di questo fenomeno si deve allo scienziato inglese John Lubbock, un allievo di Charles Darwin che, studiando i fiori di Lobelia rossi o blu, osservò che le api preferivano nettamente quelli blu per procurarsi il cibo (nettare), in tal modo contribuendo alla loro fecondazione”, spiega Domenico Pignone dell’Istituto di bioscienze e biorisorse (Ibbr) del Cnr.

Si potrebbe dire che fu un 'accordo' siglato tra regno animale e vegetale, proficuo per entrambi. Successivi studi condotti dagli entomologi hanno mostrato il perché di questa preferenza e come si crei una sorta di 'simbiosi’ tra il colore del fiore di una certa specie di pianta e la specie di insetto che la impollina. Si tratta, nello specifico, di una 'coevoluzione’: la pianta non si riproduce se quel determinato insetto non la visita e l'insetto non si nutre se non del polline di quella specifica pianta.

“L'occhio umano e quello degli insetti non percepiscono lo stesso spettro”, commenta l’esperto. “Noi cogliamo come colori le lunghezze d’onda comprese tra i 400 e i 760 nanometri circa, mentre le api, ad esempio, percepiscono quelle tra i 300 e i 630 nanometri, cioè hanno recettori sensibili a quello che noi chiamiamo verde, blu e ultravioletto (Uv). Quindi un'ape vede un fiore in una maniera diversa da noi”.

Vedere a colori ha rappresentato indubbiamente un vantaggio per tutte le specie. “L’informazione visiva acquisisce profondità, quindi non solo forma e movimento, ma anche dettagli informativi sugli 'oggetti’ che compongono l'immagine”, precisa Pignone.

Per quanto concerne la nostra specie, alcuni studi recenti hanno cercato di dimostrare che la percezione del rosso e del verde si sarebbe sviluppata per scegliere le foglie più ricche di sostanze nutrienti, contraddicendo le tesi precedenti che facevano perno sulla necessità di cogliere i frutti più maturi. “In realtà, pare che la mutazione che ha portato a distinguere rosso e verde sia apparsa circa 40 milioni di anni fa in un gruppo di scimmie che ha dato origine a quelle antropomorfe”, prosegue il ricercatore. “È ormai noto che queste nostre parenti vedono i colori più o meno come noi. Essendo animali frugivori avranno tratto un enorme vantaggio dalla possibilità di meglio definire le immagini percepite attraverso una nuova serie di sfumature cromatiche”. "Ovviamente se un'arancia e una foglia avessero lo stesso colore dovremmo basarci sulla sola forma, per capire di cosa si tratta”.

 

Fonte: Domenico Pignone, Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr, tel. 080/5583400, -249 , email domenico.pignone@ibbr.cnr.it -

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