I bambini, le prime vittime
Antonella Guidi dell’Unità relazioni europee e internazionali del Consiglio nazionale delle ricerche ha avuto un’intensa esperienza umanitaria quando era appena iniziata la prima crisi tra Russia e Ucraina, per dove è partita in Servizio civile internazionale nel 2008. Questa la sua testimonianza
Svolgevo il mio servizio presso gli orfanotrofi ucraini per conto di una Onlus di Vicenza, Sos Bambino International Adoptions, che si appoggiava al Servizio civile italiano per portare avanti progetti di cooperazione. Io e l’altra volontaria che era partita con me, Diana, abbiamo deciso di vivere dentro uno di questi orfanotrofi che collaborava con un nostro progetto, dopo aver visto la situazione disastrosa in cui si trovava. Con i nostri 600 euro di indennità mensile abbiamo potuto comprare la carne per i circa 40 bambini ospitati nell’Internat Kiev 12, che si trova nella periferia di Kiev e accoglie bambini “speciali”, di solito tolti da situazioni di forte degrado familiare o con problemi psichici, quindi in genere non orfani dalla nascita. Era comunque uno degli orfanotrofi migliori che abbiamo visto e conosciuto per la qualità della didattica e per l’umanità degli educatori che, nonostante le enormi difficoltà, cercavano di mettere amore e attenzione nel loro lavoro.
Da Kiev, poi, viaggiavamo molto e visitavamo altri orfanotrofi nella zona della Crimea: siamo state a Cjiurupinsk, Donetsk e Mikolajv, tutte città vicino al Mar Nero. Lì gli Internat, che accolgono bambini dai 6 ai 16 anni, e i Detsky Dom, con bambini dagli 0 ai 6 anni, erano grandi strutture che ospitavano anche 300 ragazzini. La situazione era peggiore rispetto alla nostra realtà di Kiev. C’erano parecchi bambini abbandonati con gravi deformità dovute a Chernobyl, altri malati di sindrome fetoalcolica, di tubercolosi, Aids o epatite. Alcune strutture avevano anche il cimitero annesso. L’Ucraina, motivo della nostra missione, aveva da poco riaperto le adozioni dopo tre anni di chiusura. Secondo la Convenzione dell’Aja un Paese, per poter esercitare le adozioni internazionali sul territorio straniero, deve strutturare dei progetti di cooperazione a favore dell’infanzia disagiata e noi eravamo lì proprio per ideare e realizzare i progetti.
Siamo arrivate a fine novembre 2008, quando la Russia aveva appena chiuso i gasdotti all’Ucraina ed era iniziata la prima crisi politica tra i due Paesi. L’orfanotrofio a cui ci eravamo appoggiate era molto freddo e la neve imperversava all’esterno. I bambini potevano farsi il bagno una volta a settimana e per pochi minuti, l’acqua calda veniva centellinata. Non avevano vestiti adeguati, camminavano male perché indossavano scarpe con numeri più piccoli. Per la festa di San Nicola, il loro Babbo Natale, io e Diana volevamo fare dei regali a questi bambini. Gli educatori e il direttore ci chiesero di regalare cose utili come shampoo e bagnoschiuma, ma io ero titubante, non sapevo quanto un bambino potesse capirne l’utilità. Vedere i loro volti pieni di gioia mi sconvolse. Non erano contenti tanto per l’oggetto in sé, ma perché qualcuno aveva fatto loro un dono.
Nel primo progetto che abbiamo scritto, Kiev 16, destinavamo finanziamenti ai ragazzini usciti dall’orfanotrofio. Il numero 16 indica il compimento dei 16 anni di età. Con l’Urss l’apparato statale si occupava del destino degli orfani anche dopo, attraverso l’assegnazione di un lavoro, di un’istruzione gratuita, di una stanza nelle Kommunal’ka o negli Obshcezhitie, una sorta di case dello studente. Dopo il crollo dell’Urss, gli orfani non sanno cosa fare né dove andare. In Ucraina spesso finiscono nelle strade, come barboni, tossicodipedenti o prostitute. La situazione sociale di Kiev e degli altri posti da noi visitati era molto grave. E lo è ancor più grave, perché l’Ucraina per poter entrare in Europa sta chiudendo gli orfanotrofi. L’ingresso in Ue richiede infatti tra i requisiti un numero contenuto di orfanotrofi e la presenza di strutture di accoglienza di carattere familiare, come da noi le case-famiglia. Ma l’Ucraina non ha gli strumenti né tale possibilità, dato l’alto numero di orfani. Ecco perché la situazione è peggiorata ed è molto grave dal 2014.
Fonte: Antonella Guidi, Unità relazioni europee ed internazionali (Cnr), e-mail: antonella.guidi@cnr.it