Focus: Guerra

Noi e gli scimpanzé, aggressività simili ma diverse

Scimpanzé
di Rita Bugliosi

A confermare l’apparente somiglianza tra i nostri comportamenti e quelli dei primati non umani sono diversi studi: dai primi, condotti negli anni ’70 dall’etologa Jane Goodall, a quelli più recenti datati 2021. A illustrarli, Elsa Addessi ed Elisabetta Visalberghi dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr. Che avvertono: "Ma soltanto noi deleghiamo il compito di uccidere ad altri"

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Le tensioni e i conflitti internazionali evidenziano come l’aggressività sia parte integrante del nostro corredo genetico, affondando le sue radici nelle origini della nostra specie e come non si possa quindi eliminarla, ma al massimo controllarla. D’altra parte  comportamenti simili sono riscontrabili anche nelle scimmie, la cui aggressività è oggetto di numerosi studi.

“Negli ultimi cinquant’anni, da quando cioè il comportamento dei primati non umani ha iniziato a essere studiato sistematicamente, si sono accumulate osservazioni in cui alcuni individui - spesso si tratta di scimpanzé - uccidono individui appartenenti al loro stesso gruppo, a gruppi vicini di conspecifici o ad altre specie di primati (umani o non umani). Pur trattandosi di casi isolati, questi episodi iniziano a rappresentare un corpus di dati interessanti da analizzare”, spiega Elisabetta Visalberghi ricercatrice dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc) del Cnr. “Sebbene questi eventi aggressivi a volte siano solo desunti e non osservati direttamente, nei media vengono proposti come raccapriccianti storie di cronaca nera e spesso si utilizzano per spiegare e giustificare la ‘bestialità’ umana sulla base di poche apparenti similitudini”.

Non bisogna però credere che l’aggressività degli esseri umani e quella degli scimpanzé sia identica, diverse sono infatti le motivazioni che la determinano. “I primati non umani non sono in grado di compiere le stesse efferatezze di cui sono capaci gli uomini: non decidono a freddo come sterminare altri individui, gruppi o popoli, come renderli schiavi o come sfruttarli sistematicamente a proprio vantaggio”, chiarisce Elsa Addessi ricercatrice del Cnr-Istc. “Nessuna specie, eccetto la nostra, delega ad altri individui l'uccisione dei propri simili mentre se ne sta al sicuro in casa propria. Il primo conflitto tra scimpanzé osservato sistematicamente è avvenuto nel Parco Nazionale del Gombe, in Tanzania, dove lavorava l’etologa Jane Goodall. Qui, tra il 1974 e il 1978, ci sono state ripetute aggressioni letali fra due gruppi che, prima della morte del maschio alfa, appartenevano a un'unica comunità. È probabile che le aggressioni fossero dovute al fatto che ambedue i gruppi volevano continuare a sfruttare lo stesso territorio che sfruttavano prima, quando c’era un solo gruppo. Fu un evento importante perché raro, dal momento che gli studi genetici rivelano che le comunità di scimpanzé possono mantenersi stabili per secoli”.

In seguito, sono state condotte altre ricerche sull’argomento, dalle quali sono emersi dati interessanti, che Visalberghi illustra. “In uno studio del 2014, sono stati esaminati per molti anni attacchi letali tra gruppi in 18 comunità di scimpanzé e in 4 comunità di bonobo per testare l'ipotesi che la distruzione dell'habitat a opera dell'uomo potesse determinare un aumento dell'aggressività e, quindi, degli attacchi a individui di altri gruppi. Le variabili considerate per valutare l'impatto umano sono state la distribuzione di cibo da parte dell'uomo, la dimensione dell'area occupata dai gruppi (assumendo che le aree più piccole fossero quelle maggiormente compromesse) e il disturbo arrecato dalle attività umane. I modelli statistici non hanno riscontrato un impatto significativo di queste variabili sul numero di attacchi letali. Gli attacchi erano però significativamente associati al numero di maschi presenti e alla densità dei gruppi. Tuttavia, un aumento della densità dei gruppi potrebbe essere causato da una riduzione dell'habitat a opera dell'uomo, pertanto non si può escludere che il fattore umano abbia un ruolo. E, soprattutto, non si può concludere che gli attacchi letali costituiscano un vantaggio selettivo per i vincitori. In un’altra ricerca del 2021 si descrivono dettagliatamente due casi in cui alcuni scimpanzé hanno attaccato gorilla di pianura; in ambedue i casi hanno ucciso un piccolo del gruppo. Tre le possibili motivazioni all’origine delle morti dei due piccoli: la competizione per le risorse, dato che le due specie condividevano parte del loro habitat; la predazione a scopo alimentare da parte degli scimpanzé (gli scimpanzé talvolta cacciano e si nutrono di altre specie di primati non umani); la xenofobia che caratterizza il comportamento di questa specie. Non è stato però possibile arrivare a una conclusione univoca”.

Conflitti sono stati registrati infine tra scimpanzé ed esseri umani.”I rarissimi casi in cui questi animali hanno ucciso bambini si sono verificati in zone in cui le popolazioni umane hanno occupato l’habitat di questi animali, distruggendo intere foreste ricche di alberi, dei cui frutti si nutrivano gli scimpanzé, trasformandole in campi coltivati. Non è quindi strano che, privati delle fonti di sostentamento, gli scimpanzé invadano i campi coltivati per cercare cibo, si avvicinino alle case e che questo faccia sorgere conflitti. E non stupisce nemmeno che a farne le spese siano i più deboli, quelli che non si possono difendere, ossia i bambini”, conclude Addessi.

Fonte: Elisabetta Visalberghi, Istituto di scienze e tecnologie della cognizione, e-mail: elisabetta.visalberghi@gmail.com; Elsa Addessi, Istituto di scienze e tecnologie della cognizione, e-mail: elsa.addessi@istc.cnr.it

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