Focus: Carnevale

Il vestito di Arlecchino è... un giardino

fiore
di Elena Campus

L'abitudine di utilizzare le piante officinali nella tintoria tessile era diffusa già nel Medioevo. L'Ibimet-Cnr, grazie al progetto Med-Laine, ha scoperto che, oltre al potere colorante, questi vegetali hanno anche la capacità di proteggere dai raggi Uv e dalle tarme

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Non è forse un caso che i tanti colori del costume di Arlecchino evochino un prato fiorito: l’arte di tingere i tessuti con le erbe ha infatti radici antiche. Per ogni pezzo di stoffa dell’abito tipico della maschera bergamasca è possibile pensare a una pianta: dalla robbia per il rosso allo zafferano per il giallo, fino all’indaco per l’azzurro.

A partire dal Medioevo si è tramandato un ricco patrimonio di saperi sull’uso delle piante officinali nella tintoria tessile tradizionale, che oggi permane solo in piccole realtà artigianali di nicchia. “Numerose proprietà di derivati della flora locale sono note in vari comparti come, ad esempio, nella fitoterapia, nella cosmetica e nell’agroalimentare”, spiega Francesca Camilli dell’Istituto di biometeorologia (Ibimet) del Cnr. “Tramite gli strumenti offerti dalla ricerca scientifica abbiamo trovato nuove modalità di estrazione dei pigmenti per applicazioni anche nel settore tessile-tintorio”.

Nell’ambito del progetto Med-Laine 'Alla ricerca delle lane e dei colori del Mediterraneo’, finanziato dal programma operativo Italia-Francia 'Marittimo’ e dedicato alla valorizzazione delle lane locali e di specie vegetali autoctone di Sardegna, Corsica e Toscana, il gruppo di lavoro ha avviato un’ampia sperimentazione sui possibili usi innovativi degli estratti vegetali. “Abbiamo potuto verificare interessanti proprietà multifunzionali dei composti ottenuti da piante officinali”, chiarisce Camilli. “Ad esempio, in collaborazione con i colleghi dell’Istituto per lo studio degli ecosistemi (Ise) del Cnr di Sassari abbiamo sottoposto i tessuti tinti con i pigmenti estratti dalla dafne (Daphne ignidium L.) e dall’elicriso (Helichrysum italicum L.) a test di resistenza e di ovideposizione delle tarme. Altri esperimenti hanno riguardato la valutazione dell’effetto schermante nei confronti dei raggi Uv che gli stessi pigmenti conferiscono ai tessuti sia sulla lana, sia su lino e canapa”.

Si sono poi affrontate le criticità che rendono difficoltoso l’utilizzo di piante officinali nei processi di colorazione. Le tinture su piccola scala vengono realizzate per mezzo di soluzioni ottenute dall’infusione di piante spesso spontanee: un procedimento lungo e costoso che non garantisce criteri di standardizzazione.

“Applicando il metodo di estrazione industriale Timatic, messo a punto dal laboratorio Phytolab - DiSia dell’Università di Firenze, siamo riusciti a prototipare una modalità di estrazione che consente di ottenere dalle piante frazioni concentrate a uso tessile-tintorio, mordenzante, che facilita, cioè, la fissazione del colorante, cosmetico e alimentare”, conclude la ricercatrice dell’Ibimet-Cnr. “Oltre a valorizzare la flora mediterranea e la sua ricca gamma di proprietà, il progetto ha contribuito alla conoscenza di prodotti e processi che possano incentivare lo sviluppo di piccole realtà delle economie rurali”.

Elena Campus

Fonte: Francesca Camilli, Istituto di biometeorologia, Firenze, tel. 055/3033738 , email f.camilli@ibimet.cnr.it -

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