Artigianato: chi controlla i formatori?
Le imprese artigiane resistono alla crisi e i ragazzi preferiscono orientarsi verso la formazione tecnica e professionale. Ma non sempre la qualificazione ottenuta è adeguata alle aspettative di mercato, studenti e famiglie
Rispondere alla crisi tornando all'antico? È un'ipotesi che sembra sempre più concreta. Le imprese artigiane crescono, nonostante la crisi, e sono sempre di più i ragazzi che preferiscono orientarsi verso un diploma che dia accesso al mondo del lavoro. L'istruzione tecnica e professionale è stata scelta da più di uno studente su due (il 53,4%) e l'ultimo rapporto del Censis conferma la passione dei giovani per i percorsi di formazione tecnica, speculare all'esigenza del mondo del lavoro: quasi un'impresa su quattro (il 22,4%) considera le qualifiche tecniche di alta specializzazione di "difficile reperimento". Le competenze tecniche, infatti, nel 2011 hanno riguardato centomila nuovi posti di lavoro, con una crescita a doppia cifra rispetto ad appena due anni prima (il 15,4%).
"Questi dati certificano due aspetti fondamentali: l'Italia manifatturiera non trova i lavoratori qualificati di cui ha bisogno e giovani e famiglie, a fronte della difficoltà occupazionali, si rivolgono in misura crescente verso percorsi tecnico-professionali. Il fenomeno di per sé è positivo ma merita alcune riflessioni", spiega Secondo Rolfo, direttore dell'Istituto di ricerca sulle imprese e lo sviluppo (Ceris) del Cnr. "Innanzitutto, sullo scollamento temporale tra i posti scoperti e le persone che iniziano la loro formazione, problema che richiede interventi ad hoc e una riqualificazione permanente non facili da attuare".
Un problema centrale è infatti l'errata percezione dei mestieri artigiani, soprattutto tradizionali, come qualcosa di immutabile, "quando invece hanno subito un'evoluzione tale da rendere necessaria l'integrazione con competenze diverse, da quelle informatiche a quelle chimiche, normative, linguistiche, che spesso richiedono una preparazione scolastica di buon livello se non universitaria", prosegue il direttore del Ceris. "Purtroppo queste necessità non sono quasi mai chiarite a studenti e famiglie, con gravi conseguenze sui livelli reali della formazione e quindi dell'effettiva occupabilità di chi ha seguito questi percorsi".
Un secondo aspetto, strettamente connesso, riguarda contenuti e gestori della formazione tecnico-professionale. "Purtroppo nel nostro Paese c'è molto da fare, essendo stato sostanzialmente trascurato questo tipo di scuole nelle quali si è lasciato spazio a soggetti privati non sempre qualificati né sintonizzati con le esigenze delle imprese", conclude Rolfo: "Le regioni, cui spetta la competenza, non hanno esercitato un controllo adeguato".
Qualche sforzo in questo senso si sta facendo, ad esempio il Red Design Lab, iniziativa di Università di Firenze e Baldi Home Jewels, un laboratorio congiunto università-impresa per mettere in relazione sapere artigiano e nuove tecnologie.
Manuela Faella
Fonte: Secondo Rolfo, Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile (Irces-Cnr), Moncalieri, tel. 011/6824913 , email s.rolfo@ceris.cnr.it -