Campi elettromagnetici: non bisogna temerli
La necessità di fornire continuità e qualità dei servizi ai cittadini richiedono ricerca, innovazione, studio di applicazioni sempre più performanti che utilizzano tecnologie quali il 5G. Suscitando anche timori per i possibili rischi per la salute. È giusto valutarli con attenzione, ma senza pregiudiziali ideologiche. Ne abbiamo parlato con Olga Zeni, dell'Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell'ambiente
Negli ultimi anni si è assistito a un notevole incremento del numero di impianti tecnologici che impiegano i campi elettromagnetici negli ambienti di vita e di lavoro, crescita dovuta principalmente alla sempre maggiore necessità di assicurare continuità e qualità dei servizi ai cittadini attraverso tecnologie sempre più all'avanguardia. Il processo procede velocemente, soprattutto per quanto riguarda le innovazioni nell'ambito della comunicazione, grazie alle quali è possibile sviluppare applicazioni sempre più veloci, come la nuova tecnologia del 5G. “Le emissioni elettromagnetiche sono legate alla diffusione di campi elettrici magnetici ed elettromagnetici generati da sorgenti artificiali a bassa e alta frequenza. I campi di bassa frequenza (ELF, da pochi Hz a 10 kHz) sono generati dai sistemi di generazione, distribuzione, trasformazione e utilizzazione dell'energia elettrica (tipicamente 50 Hz), ma anche da alcune apparecchiature industriali e medicali”, spiega Olga Zeni, dell'Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell'ambiente (Irea) del Cnr. “I campi di alta frequenza (10 kHz - 300 GHz) sono generati da apparati radiotelevisivi, telefonia cellulare, ponti radio, radar e apparecchiature industriali e medicali operanti a tali frequenze. Le sorgenti di maggiore impatto ambientale outdoor sono gli impianti e gli apparati dedicati alle telecomunicazioni operanti a frequenze variabili a seconda dei servizi da implementare, quali trasmissioni radiotelevisive e telefonia cellulare. Le principali sorgenti indoor sono invece i dispositivi bluetooth, i telefoni cordless, i telefoni cellulari e i sistemi Wi-Fi”.
L'uomo è quindi quotidianamente esposto a queste onde, ma sono pericolose? Questo aumento delle emissioni elettromagnetiche può avere conseguenze negative sulla salute? “All'espressione di inquinamento elettromagnetico è associata un'alta percezione del rischio, determinata principalmente dalla difficoltà di descrizione e di comprensione del fenomeno elettromagnetico, che non è percepibile da un punto di vista sensoriale”, aggiunge la ricercatrice. “I meccanismi di interazione dei campi elettromagnetici con gli organismi viventi e i possibili effetti sulla salute variano in base alla frequenza di emissione. Gli effetti a oggi universalmente riconosciuti sono la stimolazione dei tessuti elettricamente eccitabili (nervi e muscoli), nel caso dei campi di bassa frequenza, e il riscaldamento dei tessuti (effetti termici), nel caso dei campi di alta frequenza. Questi si definiscono effetti acuti e si verificano solo a livelli di esposizione molto elevati rispetto a quelli che si riscontrano negli ambienti di vita. La definizione dei valori limite di esposizione, che non devono essere superati ai fini della tutela dagli effetti acuti, è fissata da regolamentazioni internazionali e nazionali. I cittadini sono quindi tutelati da un apparato normativo che garantisce un livello molto alto di protezione nei confronti dei possibili effetti sanitari accertati”.
Facciamo ora chiarezza sulla nuova tecnologia 5G. “La sua diffusione, grazie a una maggiore velocità di comunicazione e a una minore latenza, consentirà l'introduzione di servizi di interconnettività per le smart city, le auto, la telemedicina e la telechirurgia. Questa stretta connessione tra le macchine e le persone darà inevitabilmente luogo a nuovi scenari di esposizione”, conclude Zeni. “Per ora, in Italia, le frequenze assegnate dal Ministero delle telecomunicazioni per il 5G sono tre: una banda bassa intorno agli 800 MHz; una banda media intorno ai 4 GHz; una banda alta intorno ai 27 GHz. Siamo dunque al di sotto delle cosiddette onde millimetriche (30-300 GHz) che vengono spesso chiamate in causa nel caso dei segnali 5G. Le onde elettromagnetiche alle frequenze più elevate hanno un basso potere di penetrazione, per cui da un punto di vista tecnico è richiesta la copertura di piccole aree e l'installazione di numerose antenne. Ciò rappresenta una grande fonte di preoccupazione. In realtà, sebbene manchino studi specifici sul segnale 5G e siano senz'altro auspicabili maggiori ricerche, le dimensioni più piccole delle celle rispetto a quelle attualmente utilizzate per la telefonia cellulare comporteranno potenze di emissione minori. Inoltre, l'esposizione dipende dalla richiesta, infatti vengono utilizzate antenne adattative che concentrano la potenza irradiata sui singoli utenti o sul dispositivo di telefonia mobile. La paura associata al 5G è comprensibile, ma mal posta, perché le frequenze in gioco sono state in gran parte esplorate nelle tecnologie precedenti (2G, 3G, 4G) e i livelli di potenza associati al 5G sono inferiori a quelli delle precedenti generazioni di telefonia mobile. Insomma: le conoscenze acquisite finora non sono tali da dimostrare effetti dannosi per la salute, fermo restando che gli standard di protezione dagli effetti termici vengano rispettati".
Fonte: Olga Zeni, Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell'ambiente , email zeni.o@irea.cnr.it -