Tra i fattori che rendono incerta la previsione della producibilità di un impianto eolico, uno dei più critici riguarda l’estrapolazione verticale, cioè la stima della variazione della velocità del vento (wind shear) in funzione dell’altezza. Queste informazioni vengono acquisite, a varie quote, tramite specifici strumenti installati su torri anemometriche e aerogeneratori, che monitorano le variazioni del dato nel tempo, permettendo così di valutare se realizzare l’impianto.
Uno studio condotto dall’Istituto di biometeorologia (Ibimet) del Cnr di Firenze, pubblicato sulla rivista 'Renewable Energy’, ha fornito un contributo in questo senso, mettendo a confronto una serie di modelli matematici usati per calcolare il profilo verticale della velocità del vento.
Il lavoro – che ha un’importanza strategica per minimizzare i rischi economici legati all’installazione di nuovi impianti - ha preso in esame un dataset di tre anni dell’area industriale Enel di Brindisi, con misurazioni orarie all’altezza di 10 e 50 metri. A partire dalle misure a 10 metri, i modelli sono stati applicati per estrapolare velocità del vento e producibilità energetica a 50 metri, confrontando poi le stime con le misure oggettive alla stessa altezza.
“Il modello più accurato si è dimostrato quello di Panofsky e Dutton, con errori di sovrastima della velocità del vento del 4% e della producibilità del 15%”, spiega Giovanni Gualtieri dell’Ibimet-Cnr, coautore della ricerca. “Questo schema si è rivelato applicabile a tutte le condizioni di stabilità atmosferica. Risultati sostanzialmente analoghi sono stati ottenuti dal modello di Justus e Mikhail, caratterizzato da sottostime della velocità del 6% e della producibilità del 16%, che però è preferibile in quanto più facile da usare, essendo indipendente dalla rugosità del terreno, dalla serie temporale dei dati usati e dalla stabilità atmosferica, e più conservativo, cioè tendente a sottostimare piuttosto che a sovrastimare la producibilità eolica del sito”.
Aumentare le conoscenze su tali modelli e testarne l’affidabilità appare cruciale soprattutto per gli investitori, soprattutto se si considera l’aumento delle dimensioni dei moderni aerogeneratori multi-MW, e quindi dell’altezza del mozzo di tali turbine (70-100 m), notevolmente superiore a quella di misurazione delle comuni torri anemometriche (20-40 m).
Fonte: Giovanni Gualtieri, Istituto di biometeorologia, Firenze, tel. 055/4483027 , email gualtieri@lamma.rete.toscana.it