Con la sartoria, il Made in Italy vola alto
"Rivalutare la figura professionale della sarta, creando nuovi percorsi formativi". A dirlo il presidente della storica Maison Gattinoni, Stefano Dominella che, per valorizzare la moda italiana propone anche di investire nella ricerca di materiali e di prodotti artigianali. E sui tessuti tecnici 'intelligenti'
Presidente della Maison Gattinoni, vicepresidente di Unindustria del settore tessile, abbigliamento, moda e accessori, consigliere della Camera nazionale della moda italiana e membro del Comitato del progetto "Archivi della Moda del ‘900" promosso dall'Anai (Associazione nazionale archivistica italiana) del ministero per i Beni culturali, Stefano Dominella debutta nel mondo della moda alla metà degli anni '70. Ha rivestito ruoli direttivi presso Consorzio moda Roma ed è stato presidente di Alta Roma, agenzia capitolina dell'haute couture.
Dominella è anche ideatore di progetti sociali e culturali come ‘L'artigianato e la moda'; ‘FashionAble - L'Alta moda sfila in carrozzella'; ‘Il cinema va di moda'; ‘La moda oltre' per le detenute di Rebibbia; ‘Progetto Rom'; ‘Per riprendere il filo. Percorso formativo per uscire dal disagio'. Lo raggiungiamo nel suo studio in via Toscana, sede storica della Maison Gattinoni, per parlare della sua mostra ‘Eroine di stile. La Moda italiana veste il Risorgimento', aperta fino al 22 gennaio 2012 al Museo Nazionale Romano in Palazzo Altemps a Roma.
Quale percorso ha affrontato prima di arrivare alla Maison Gattinoni?
Quello dell'autodidatta, tipo ‘bottega del Rinascimento': prima presso l'Accademia di formazione per design di moda, poi come stagista a Milano nella maison di Mila Schön. Più tardi a Roma ho iniziato a frequentare ambienti giovanili più ‘rivoluzionari' di Carnaby Street, in particolare gli stilisti di Campo dei Fiori, che dipingevano le camicie a mano, sfrangiavano jeans e compravano i cappotti militari per trasformarli. La svolta è arrivata quando ho iniziato a frequentare la maison Valentino, coordinando l'ufficio stile e collaborando con quello comunicazione. Con Raniero Gattinoni ho contribuito al restyling del marchio, dando vita a una collezione di prêt à porter autoprodotta vicina agli stilisti giapponesi, una strada diversa dalla tradizionale maison di Fernanda Gattinoni, anche se negli anni '90 le due realtà sono tornate a convivere nell'atelier. Con la scomparsa di Raniero nel 1993, sono rimasto unico socio di Fernanda, mentre a Guillermo Mariotto è andato l'incarico di direttore creativo. Con lui è iniziata una nuova era: sfilate di prêt à porter a Milano e di alta moda a Roma con un ‘ufficio stile' importante. Per arrivare al 2005, con la vendita di una parte del marchio per avere un'organizzazione più forte nel settore dell'alta moda.
Cosa pensa della formazione degli artigiani di sartoria?
Insegno da oltre 25 anni all'Istituto europeo di design e da quest'anno alla Luiss. Penso che l'artigianato debba essere assolutamente rivalutato, in particolare la figura della sarta. In Italia abbiamo il più alto numero di scuole di formazione di moda post diploma, con oltre 25mila stilisti ogni anno. Sebbene sia un settore in continuo mutamento, dove l'impiego di forza giovane sotto i 40 anni già supera il 45%, il made in Italy copre esclusivamente la fascia alta e altissima della piramide dei consumi. Quindi bisogna realizzare un prodotto industriale con passaggio della mano, dove al design e alla qualità dei materiali si aggiunga il lavoro sartoriale. Di qui la necessità di creare nuovi percorsi formativi per questa figura. Riattiverei la ‘festa delle Caterinette', che ancora si celebra il 25 novembre in Francia, dedicata a Santa Caterina protettrice delle sarte e di coloro che lavorano nel settore. E aprirei istituti tecnici di moda, inesistenti in Italia. La moda rappresenta ancora la terza voce attiva nelle esportazioni, con 69 miliardi di fatturato l'anno e il 75% di esportazioni. Per fare un prodotto alto, dobbiamo recuperare quella manualità che abbiamo perso negli anni '80 e '90.
Da vicepresidente di Unindustria della sezione tessile, quanto conta la ricerca di nuovi tessuti?
È alla base. Esistono laboratori dedicati alla ricerca di materiali a Biella, a Como e a Prato, anche per controbattere i tessuti cinesi e, nello stesso tempo, offrire prodotti artigianali impossibili da copiare: dai tessuti Jacquard intrecciati ai fil coupé. Diamo dei consigli ai tecnici delle aziende presentando i campioni e loro stessi propongono novità.
Cosa pensa delle ricerche scientifiche sui ‘tessuti intelligenti'?
Che sono assolutamente ‘intelligenti'. Sono tessuti utili per realizzare abbigliamento tecnico ma anche abiti per il pronto moda e la moda quotidiana. Dieci anni fa con una fibra speciale abbiamo realizzato a Venezia un ‘abito vivo', in occasione del Congresso internazionale delle fibre: un'enorme gonna con all'interno 10 mimi, che muovendosi facevano cambiare continuamente aspetto all'abito.
Lei conduce un progetto sugli ‘archivi della moda del ‘900'. Quanto è importante la memoria per la moda italiana?
La maison Gattinoni ha un archivio storico composto da oltre 2.000 elementi tra abiti, tavole di ricamo, macchine da cucire, rassegne stampa, che è stato dichiarato dal ministero per i Beni e le attività culturali archivio storico' di rilievo nazionale. È importantissimo il recupero di ieri, per guardare al domani.
Ha dedicato ai 150 anni dell'Unità d'Italia la mostra ‘Eroine di stile. La moda italiana veste il Risorgimento'. La moda è parte della nostra storia?
Sono partito dagli abiti di Schuberth, di Carosa e di Biki di fine anni ‘40, per arrivare alle collezioni di Ferrè e di Armani dell'anno scorso. Illuminante è stato il libro di Bruna Bertolo ‘Donne del Risorgimento. Le eroine invisibili dell'Unità d'Italia'. Tra queste ne ho scelte 32: dalle intellettuali alle aristocratiche, dalle popolane fino alle garibaldine e alle brigantesse, analizzando personalità, carattere, modo di comportarsi. A vestire nomi illustri come Anita Garibaldi, Maria Sofia Borbone, la brigantessa Michelina di Cesare e altre, abbiamo chiamato i grandi maestri, Fendi, Ferré, Valentino... Un'esposizione di 79 abiti che rappresentano l'eccellenza italiana.
A quale pezzo è più affezionato?
Al look da uomo della salottiera Cristina Trivulzio e a quello della giornalista inglese Jessie White Mario, venuta in Italia per recensire i motti del Risorgimento e poi rimasta a combattere. L'ho immaginata con un paio di pantaloni, una camicia a quadri e sopra un lungo cappotto firmato Missoni.
Silvia Mattoni