Vita Cnr

La fragilità dei giganti

Immagine stilizzata materiale al microscopio
di Francesca Gorini

Ricercatori dell'Istituto per l'energetica e le interfasi hanno fornito nuove indicazioni sulla frattura dei materiali: a grande scala, diventano via via più fragili, tendendo a rompersi in maniera improvvisa. Lo studio, svolto in collaborazione con l'Università di Cornell, spiega anche perché materiali biologici come ossa e conchiglie sono tra i più resistenti in natura

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Materiali come il vetro o molte ceramiche sono detti 'fragili' perché si rompono bruscamente, con la formazione di un piano di frattura che taglia in due il campione. Materiali più complessi, come le ossa o le conchiglie, prima di rompersi, sviluppano invece 'micro-cricche', piccole zone fratturate grazie alle quali il danno viene distribuito su regioni più ampie prima di arrivare alla rottura, spesso seguendo una distribuzione di scala che ricorda i terremoti.

Per ottenere sostanze sempre più resistenti si cerca di creare microstrutture complesse e 'disordinate', evitando che la formazione delle piccole fratture porti alla rottura di tutto il campione, come accade nei materiali 'quasi-fragili' quali il cemento, il calcestruzzo o i nuovi materiali compositi ispirati alla biologia.

Al ruolo del 'disordine' nella frattura è dedicata una ricerca dell'Istituto per l'energetica e le interfasi (Ieni) del Cnr, condotta in collaborazione con l'Università di Cornell. Lo studio ha mostrato che anche i materiali 'quasi-fragili' tendono a rompersi in maniera improvvisa man mano che la dimensione del campione cresce.

"È un problema non trascurabile, visto che normalmente i test di resistenza in laboratorio vengono fatti su campioni di piccole dimensioni, ma gli stessi materiali spesso poi vengono utilizzati per strutture molto più grandi, pensiamo ad esempio all'ingegneria navale, alla costruzione di ponti o dighe", spiega Stefano Zapperi dello Ieni-Cnr, tra gli autori dello studio. "A grande scala tutti i materiali si comportano come il vetro, mentre i piccoli sono più forti", conclude Zapperi.

Lo studio è stato condotto studiando la frattura come una transizione di fase, esattamente come la condensazione del vapore o la fusione di un solido in un liquido. Il lavoro è stato svolto nell'ambito del progetto 'Sizeffects' finanziato dallo European Research Council.

Fonte: Stefano Zapperi , Istituto per l'energetica e le interfasi, Milano, tel. 02/66173385, email stefano.zapperi@cnr.it

Per saperne di più: 'From damage percolation to crack nucleation through finite size criticality', Phys. Rev. Lett. 110, 185505 (2013) - http://prl.aps.org/abstract/PRL/v110/i18/e185505