A ogni genere la sua medicina
Uomini e donne non possono essere curati allo stesso modo, la differenza di sesso influisce sulla scelta della terapia di ogni patologia. Ne abbiamo parlato con Roberto Volpe del Servizio prevenzione e protezione del Cnr
Sulla base delle indicazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e, in Italia, dall’Istituto superiore di sanità (Iss) e dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), si è sviluppata la medicina di genere, una branca innovativa della ricerca biomedica che studia le relazioni tra l'appartenenza al genere sessuale e l'efficacia delle terapie nel trattamento di determinate patologie.
Le differenze sessuali, interessano anche organi quali il cuore, sistemi come quelli circolatorio e immunitario. È in cardiologia che si riscontrano le diversità più consistenti: le donne sono meno consapevoli del rischio di infarto e di disturbi cardiocircolatori in generale e, per questo, vanno dal medico o chiedono soccorso in ritardo rispetto agli uomini.
“I dati Istat del 2014 indicano che le malattie cardiovascolari rappresentano il 43% delle cause di morte femminile, contro il 35% di quella maschile. Ciò si lega anche alla maggiore longevità femminile: malgrado con la menopausa aumenti la percentuale di obese, ipertese, ipercolesterolemiche e diabetiche, è solo intorno ai 75 anni che gli eventi cardiovascolari femminili superano quelli maschili”, spiega Roberto Volpe del Servizio prevenzione e protezione (Spp) del Cnr di Roma. “Il dato allarmante è, però, che le donne una volta colpite presentano una maggiore percentuale di mortalità rispetto agli uomini. Ciò può dipendere: dall’età avanzata in cui hanno l’infarto e dal conseguente maggior rischio di complicanze; dal fatto che non sempre riconoscono per tempo i sintomi dell’infarto acuto, che possono essere diversi da quelli dell’uomo; da una tendenza dei medici a sottostimare tale rischio nelle donne, che può portare a un ricovero in ritardo al pronto soccorso”.
Inoltre, gli interventi farmacologici possono risultare meno efficaci per il sesso femminile e comportare maggiori effetti collaterali, anche perché i farmaci che vengono prescritti sono stati studiati sugli uomini. “Ancora oggi le donne vengono trattate meno con i farmaci essenziali per prevenire le recidive dell’infarto quali l’aspirina, i betabloccanti e le statine. Questa disparità di trattamento è nota come 'sindrome di Yentl’, dal film in cui Barbra Streisand interpretava una ragazza che si travestiva da ragazzo per poter accedere a una scuola per soli maschi” prosegue Volpe. “I medici ancora si devono adeguare a questa nuova prospettiva. Nelle Linee guida della Società europea di cardiologia (Esc) del 2011 sul trattamento delle dislipidemie, si è dovuto ribadire che l’uso di statine per la prevenzione di eventi cardiovascolari ha le stesse indicazioni negli uomini e nelle donne”.
Le donne tendono inoltre a soffrire più degli uomini di stress, patologie legate al loro ruolo sociale, che le impegna con i figli e la casa, oltre che con il lavoro. “Un superlavoro che genera ipertensione arteriosa e ansia e che va a scapito anche del tempo libero da dedicare all’attività fisica”, conclude il ricercatore dell’Spp-Cnr. “Nel 2012 in Italia a fronte di un 31% di uomini sedentari, si è registrato un 41% di donne che non svolgeva attività sportiva (dati Iss), importante nella prevenzione non solo dei fattori di rischio cardiovascolare, ma anche, per esempio, di tumori mammari e dell’osteoporosi”.
Fonte: Roberto Volpe, Servizio prevenzione e protezione del Cnr, tel. 06/49937630 , email roberto.volpe@cnr.it -