Processi industriali a zero emissioni? Ci vuole la nanochimica
di Rita Lenal disastro ambientale ungherese indica che occorre realizzare processi produttivi a zero emissioni, che utilizzino le nanostrutture. Questi processi produttivi puliti potrebbero essere condotti tanto nei Paesi più avanzati che in quelli in via di sviluppo. Lo afferma Mario Pagliaro dell'Ismn-Cnr
Il 4 ottobre del 2010 è una data da dimenticare per l'Ungheria: una marea di fanghi rossi tossici fuoriusciti da un bacino di decantazione di residuati della lavorazione della bauxite (il minerale dal quale si estrae l'alluminio) ha invaso prima un'area di 40 chilometri quadrati e successivamente ha raggiunto il Danubio, minacciando l'ecosistema fluviale. Un disastro ambientale provocato dal cedimento della chiusa di una vasca che contiene gli scarti della pulizia chimica della bauxite, la cui fuoriuscita ha causato l'inondazione di sette villaggi circostanti, la morte di nove persone e il ferimento di 150.
Come evitare in futuro tragedie ecologiche e umane come queste? Certamente aggiornando e migliorando i processi di produzione dell'alluminio o di qualsivoglia metallo, evitando enormi accumuli di residuati provenienti dai processi di lavorazione chimico-industriale. Il deposito sul Danubio conteneva 50 milioni di metri cubi di fanghi rossi.
"L'incidente che ha riversato nel bacino del fiume Marcal prima e del Danubio poi, almeno un milione di metri cubi di fanghi rossi", spiega Mario Pagliaro dell'Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati (Ismn) del Cnr di Palermo, autore del libro sulle nanotecnologie "NanoAge", "è del tutto analogo a quello che nel 2000 accadde in Romania in una miniera d'oro, che sversò in un fiume al confine con l'Ungheria acque al cianuro".
A inquinare territorio e acque, secondo il ricercatore, è stato il sottoprodotto della pulizia dell'allumina o bauxite volto a ottenere alluminio purissimo. Un risultato che richiede processi chimico-industriali complessi con il supporto di grandi quantità di energia ad altissimo voltaggio, che producono scarti di lavorazione, per l'appunto i fanghi rossi, contenenti metalli tossici diversi come il bario, il titanio e il cadmio, oltre al ferro. Veri e propri liquami ad alta tossicità che la maggior parte delle raffinerie - inclusa quella ungherese - fa decantare in grossi serbatoi per recuperare e riciclare la soda.
"Quello che occorre, allora, sono processi di produzione dell'alluminio che possano utilizzare allumina meno pura, cioè elettrodi selettivi. Per farlo", prosegue il ricercatore dell'Ismn-Cnr, "dobbiamo usare la nanochimica per assemblare elettrodi metallici la cui nanostruttura consenta un funzionamento selettivo, convertendo in metallo l'ossido di alluminio e lasciando invariate le altre specie chimiche della materia prima".
Anche al Cnr si sta lavorando nel campo delle nanotecnologie per il miglioramento dei processi industriali. "Con queste prospettive, è necessario incentivare lo sviluppo della nanochimica, ad esempio defiscalizzando le ricerche di processi a zero emissioni proprio come fa la Norvegia con la ricerca del petrolio", conclude Pagliaro. "Ciò porterà allo sviluppo di processi produttivi puliti ad altissimo valore aggiunto che potranno essere condotti anche nei paesi europei e asiatici dove, a causa del basso costo del lavoro e dell'energia, vengono condotti processi obsoleti e spesso pericolosi per l'ambiente e per la salute".
Rita Lena
Fonte: Mario Pagliaro, Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati, Palermo, tel. 091/6809370 , email mario.pagliaro@cnr.it -