Focus: Nanotecnologie

Neurologia, una cura del tubo

nanotecnologie
di Rosanna Dassisti

La terapia di lesioni e malattie neurodegenerative attraverso tecniche d'avanguardia è la nuova frontiera della medicina neurologica. Quelle messe a punto nei laboratori del Centro di eccellenza per le nanotecnologie dell'università di Trieste consentono di collegare i neuroni e stimolarne la connessione grazie a minuscoli 'ponti' di carbonio

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L'impiego di nanotubi di carbonio per la terapia di lesioni o malattie neurodegenerative è la nuova frontiera neurologica, al limite tra nanotecnologia e biologia. Alcuni degli studi più recenti in quest'ambito sono stati presentati alla decima Conferenza internazionale sui materiali nano strutturati, 'Nano 2010', organizzata da Dino Fiorani, direttore dell'Istituto di struttura della materia (Ism) del Cnr di Roma.

Attraverso tecniche d'avanguardia, messe a punto nei laboratori del Centro di eccellenza per le nanotecnologie dell'università di Trieste, Maurizio Prato e Laura Ballerini riescono a collegare in vitro i neuroni e a stimolarne la connessione utilizzando minuscoli fili di forma cilindrica in grado di condurre efficacemente la corrente elettrica.

"Si cerca di comprendere il funzionamento di strutture ibride per lo sviluppo di nuovi strumenti impiantabili, per controllare la generazione di segnali neuronali e potenziare la formazione di sinapsi", spiega Maurizio Prato.

I neurologi hanno dimostrato che questi materiali possono formare giunzioni simili a quelle naturali con le membrane dei neuroni che compongono il nostro sistema nervoso.

I neuroni sono organizzati in modo tale che ciascuno di essi, attraverso intricate ramificazioni cellulari, prenda contatto con quelli limitrofi. Questo permette di instaurare una comunicazione anche fra zone nervose distanti tra loro: in caso di lesioni, per esempio a seguito di un ictus o di un trauma, il viaggio del messaggio neuronale può interrompersi. "[immagine]"

"I nanotubi di carbonio potrebbero essere usati per aggirare l'ostacolo, creando una via alternativa", continua Prato, "come avviene oggi per i by-bass cardiaci. Potrebbero accorciare i collegamenti e quindi accelerare il viaggio dell'impulso elettrico, potenziandone l'effetto". I nanotubi potrebbero anche aumentare la durata e l'efficacia dei classici elettrodi in metallo utilizzati nelle interfacce macchina-cervello, usate da chi non può comandare i muscoli a causa di lesioni.

"I risultati riportati nel nostro lavoro", spiegano i ricercatori, "indicano che i nanotubi potrebbero influenzare l'elaborazione neurale  dell'informazione e, aumentando le conoscenze sul funzionamento delle reti ibride neuroni-nanotubi, si potrebbero aprire le porte allo sviluppo di materiali 'intelligenti' per la riorganizzazione di sinapsi all'interno di una rete neurale".

Rosanna Dassisti

Fonte: Maurizio Prato , Università di Trieste, tel. 040/6767883, email prato@units.it

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