Faccia a faccia

Rai Uno: rete ammiraglia anche nella divulgazione

mazza
di Marco Ferrazzoli

A lungo direttore del Tg1, Mauro Mazza da più di un anno guida Rai Uno. Una rete che dà spazio alla divulgazione scientifica sia in trasmissioni ad hoc sia in programmi di approfondimento e intrattenimento

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Dopo una lunga carriera come giornalista, culminata con la vice-direzione del Tg1 e con la direzione del Tg2, Mauro Mazza ha assunto da più di un anno la guida di Rai Uno. premiato da ottimi risultati sia nel prime time sia nell'intera giornata. Apprezzato per il garbo, ma noto anche per non aver mai nascosto le sue idee né le sue passioni ha di recente intrattenuto una polemica ‘a distanza' con Paolo Bonolis, al quale ha peraltro ribadito la sua stima, per aver inserito nei suoi programmi delle situazioni di 'volgarità'. 

 

Un altro rischio delle televisioni generaliste è quello della superficialità, specialmente sui temi culturali e scientifici, non crede?

Il compito di Rai Uno o Canale 5, cioè delle reti ammiraglie che tuttora coprono metà circa della platea televisiva, non può essere assimilato a quello dei canali a prevalenza monotematica: soprattutto con il positivo ampliamento dell'offerta dovuto al passaggio al digitale, che però deve servirci di stimolo per migliorare e aumentare la nostra offerta di contenuti specifici, tra cui la divulgazione culturale e scientifica.

La sua rete cosa fa in questo senso?

Molte trasmissioni, da quelle dedicate di Piero Angela a diversi contenitori in cui può trovare spazio l'approfondimento, come ‘Porta a porta', ‘Uno Mattina', ‘La vita in diretta'. Il rischio della banalizzazione nei programmi di maggior ascolto esiste senz'altro, ma questo vale per qualunque contenuto, anche per la politica, che viene ridotta dai talk show a uno scontro epocale concluso dalla sigla finale. Certo, sui contenuti scientifici è facile che si sacrifichi la correttezza al sensazionalismo, poiché nell'informazione e nella comunicazione non ci sono continuità né memoria: abbiamo seguito per settimane la nube vulcanica, poi tutto si è azzerato improvvisamente, salvo il grande risultato d'ascolto della puntata di Superquark dedicata proprio all'eruzione del vulcano islandese e ai rischi  connessi.

La tv ha in più l'‘aggravante' dell'immagine, che rischia di prevalere sui contenuti.

A pari competenza viene preferito un esperto telegenico, capace di esprimersi in modo semplice e sintetico, non c'è dubbio. E si tende a usarlo di nuovo. Ma anche questa regola vale per chiunque, inclusi i conduttori dei telegiornali, che non sempre sono anche i  migliori giornalisti.

Che differenze trova tra le sue esperienza di direttore del tg e di rete?

Ci sono avvertenze diverse. In una rete la possibilità di programmare può indurre a guidare con il pilota automatico; in un notiziario è il contrario, si vive sulla spinta emotiva e delle emergenze e la sfida è trasformare questa necessità in un pregio. Quando ero direttore di tg comunque ho cercato di contrastare gli allarmismi eccessivi, ad esempio quello per l'aviaria. Dobbiamo tener presente che un titolo troppo forte può creare danni seri, soprattutto su un'opinione pubblica emotiva come la nostra: gli operatori turistici rilevano che noi italiani siamo comunque  i primi: sia ad abbandonare le mete considerate pericolose, alle prime avvisaglie di un'emergenza, sia a tornarci, dimenticando l'allarme.

Ora che dirige una rete, cosa intende realizzare sul piano della divulgazione?

Abbiamo in programma altri grandi eventi come il Rigoletto in diretta da Mantova e il recupero di autori come Eduardo con le sue commedie. A parte che il contratto impone di riservare a questo tipo di programmazione il 20 per cento dell'offerta, sono convinto che il futuro della Rai passi proprio per il suo ruolo di servizio pubblico, che in passato è stato troppo spesso accantonato.

Come spettatore, invece, cosa segue tra gli spazi di divulgazione, Rai a parte?

Sono di formazione umanistica. Mi piace molto History Channel, ma devo dire che spesso mi vengono i brividi nel vedere come certi pregiudizi inficino la correttezza delle ricostruzioni. Il rischio della cattiva divulgazione non si corre solo con le discipline scientifiche. ""

Anche per questo si dice che sul piano storico-culturale una buona fiction può fare più di tanti programmi divulgativi.

E infatti, accanto ai prodotti di maggiore consumo, stiamo lavorando sulla lunga serialità in questo senso, proprio per valorizzare un segmento di produzione nel quale posso dire che la differenza tra Rai e televisioni commerciali è particolarmente percepibile.

Poiché ha citato la sua formazione le chiedo come se la cavava, da studente, nelle materie scientifiche.

Devo ammettere che in matematica e scienze non ero uno studente modello.

Colpa del dogma che subordina il sapere scientifico a quello umanistico?

Forse sì. Ma devo anche dire che sono convinto della necessità di una gerarchia di valori alla quale i saperi della scienza debbano riferirsi: clonazione, inizio e fine vita, ad esempio, sono temi sui quali la scienza non può decidere in un'assoluta, astratta libertà, a meno di non dare corpo ai nostri peggiori incubi.

Sul piano delle infrastrutture, come giudica l'innovazione Rai?

Siamo un pochino indietro. Questi sono i pregi e i limiti della ‘cosa pubblica': non possiamo seguire gli aggiornamenti con la velocità che la tecnologia imporrebbe perché - come per il digitale - abbiamo il dovere di concordare con cautela sistemi, fornitori, etc. Comunque direi che siamo nella media europea, in futuro dovremo lavorare soprattutto nell'integrazione tra i vari media.

Un altro modo di collaborare, per televisione e scienza, è quello delle ‘maratone' e delle iniziative di sostegno e di sensibilizzazione per la ricerca.

Una sinergia importantissima, alla quale credo profondamente, non la si deve attivare solo per ‘salvarsi l'anima'.

Una ricerca che vorrebbe fosse realizzata?

Più di quelle tese all'allungamento della vita, mi premono quelle volte a migliorarne la qualità. In questo ha un grande ruolo la tecnologia, che può consentirci di recuperare dal lavoro tempo per noi stessi.

Marco Ferrazzoli