Focus: Ricominciare

Quegli imprevedibili fenomeni endogeni terrestri

Vulcano in eruzione
di Gianmaria Carpino

Dagli studi sull'eruzione del vulcano sottomarino Hunga-Tonga a quelli sull'eccezionale quantità di CO prodotte dall'Etna, passando per le ricerche sui precursori sismici e su una futura eruzione del Vesuvio, emerge chiaramente come l'attività endogena della Terra non conosca sosta. Nonostante i risultati ottenuti dagli scienziati, fare previsioni esatte su dove e quando tale attività riprenderà è ancora impossibile

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Le catastrofi naturali come terremoti o eruzioni sono fenomeni che si verificano senza un chiaro preavviso ed è dunque difficile prevederli. E tendono inoltre a riproporsi, come dimostrano vari eventi di questo tipo registrati più o meno recentemente e sui quali indagano anche gli Istituti del Cnr.

L’esplosione del vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Ha’apai, situato nell’omonima isola nel sud del Pacifico, lo scorso 15 gennaio ha sprigionato un’onda d’urto tanto forte che i suoi effetti erano ancora osservabili a distanza di alcuni giorni dall’eruzione. Lo hanno mostrato le variazioni di pressione atmosferica registrate dai rivelatori del progetto PolarquEEEst a Ny-Ålesund, nelle isole Svalbard. Finanziato dall’Istituto nazionale di fisica nucleare e dal Centro ricerche Enrico Fermi, in collaborazione coll’Istituto di scienze polari (Isp) del Cnr, il progetto ha come scopo il monitoraggio a varie latitudini dei raggi cosmici e delle loro corrispondenze con le condizioni atmosferiche.

Gli strumenti utilizzati per la ricerca si sono rivelati efficaci anche per comprendere i meccanismi fisici che si sono verificati nel corso dell’eruzione di Hunga Tonga. “Nel corso dei tempi geologici, le emissioni vulcaniche hanno rappresentato una delle principali cause delle variazioni della CO₂ atmosferica", spiega Riccardo Avanzinelli, docente di Petrologia e petrografia presso l’Università degli studi di Firenze e collaboratore dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria (Igag) del Consiglio nazionale delle ricerche, coordinatore di uno studio con l’Università di Colonia sull'eccezionale quantità di CO₂ che l’Etna emette grazie alla presenza di serbatoi di carbonio presenti in profondità sotto la crosta terrestre dell’Italia meridionale. Per risalire alla radice di queste emissioni, i ricercatori hanno studiato il rapporto tra due elementi rari, il niobio e il tantalio. Lo studio ha rilevato la presenza, a circa 50 km di profondità, di strati di mantello arricchiti in carbonio. “Questo serbatoio potrebbe fornire un contributo importante per capire il ruolo del bilancio di anidride carbonica sia nel passato che nel presente e nei cambiamenti climatici del nostro Pianeta”, chiarisce il ricercatore.

Nell’ambito della prevenzione delle attività sismiche e vulcaniche, il Cnr-Igag ha condotto poi uno studio sulle anomalie geochimiche. “Per arrivare un giorno a stabilire se sia possibile valutare anomalie-precursori e quali, bisogna prima di tutto comprendere se tali fenomeni abbiano lasciato un segno ormai fossile ma identificabile nelle rocce”, spiega Andrea Billi. “A tale proposito, lo studio geochimico sulle rocce di faglia del Monte Morrone in Abruzzo ha mostrato la presenza di fluidi ricchi in vanadio, segno di antiche anomalie. Tali fluidi risalirebbero verso la superficie terrestre settimane o addirittura mesi prima di terremoti forti e intermedi. Sebbene la previsione di tali eventi non sia ancora dietro l’angolo, queste ricerche suscitano grande interesse scientifico”.

Vesuvio

Nella stessa direzione va anche uno studio condotto dall’Istituto politecnico federale di Zurigo e da due ricercatori italiani sulla possibilità di una nuova eruzione del Vesuvio simile a quella che distrusse Pompei ed Ercolano nel 79 d.C. “L’analisi dei granati magmatici, cristalli che si formano nella parte più profonda delle camere magmatiche, offre importanti informazioni sui tempi di accumulo dei magmi prima dell’eruzione. Ciò, ovviamente, non fornisce indicazioni esatte su quando avverrà la prossima eruzione del Vesuvio, uno dei vulcani più monitorati d’Europa, ma può segnalare una ripresa della sua attività vulcanica. La cristallizzazione dei granati nel magma precedeva infatti dai 1.000 ai 5.000 anni le eruzioni più potenti”, conclude Roberto Sulpizio del Dipartimento di scienze della terra e ambientali dell’Università di Bari e collaboratore del Cnr-Igag.

Fonte: Andrea Billi, Istituto di geologia ambientale e geoingegneria, e-mail: andrea.billi@cnr.it

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