Focus: Piano piano

Il ritmo lento dell’evoluzione

Tartaruga
di Beatrice Rapisarda

L’evoluzione biologica è un processo straordinariamente lento, scandito da milioni di anni di mutazioni e adattamenti attraverso la selezione naturale. Sebbene in natura il cambiamento sia una costante, la velocità con cui le specie si modificano è estremamente variabile e, nella maggior parte dei casi, impercettibile nel breve-medio termine, come nel corso della vita umana. Ne abbiamo parlato con Flavio Monti, ricercatore presso l’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Cnr

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L’evoluzione opera attraverso diversi meccanismi, nella maggior parte dei casi caratterizzati da un denominatore comune: la lentezza. Tra questi, la selezione naturale è uno dei principali processi che guida il cambiamento delle specie nel tempo. Descritta per la prima volta da Charles Darwin, essa agisce sulla variabilità genetica all'interno di una popolazione: gli individui con caratteristiche più adatte all’ambiente in cui vivono hanno maggiori probabilità di sopravvivere e riprodursi, trasmettendo i propri geni alla generazione successiva. “La diversità genetica ha origine principalmente da mutazioni genetiche, ossia variazioni casuali nel Dna che possono derivare da errori nella replicazione del materiale genetico, da esposizione a radiazioni, da agenti chimici o da altri fattori ambientali. Sebbene molte mutazioni siano neutre o dannose, alcune possono conferire un vantaggio selettivo, migliorando la sopravvivenza o la capacità riproduttiva di un organismo”, spiega Flavio Monti dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri (Iret) del Cnr di Lecce, che da anni si occupa di ricerca applicata nel campo della biologia della conservazione, studio del comportamento animale tramite dispositivi di tracciamento remoto e conflitti uomo-fauna selvatica, per una corretta gestione delle specie e degli habitat.

In alcuni casi, l’evoluzione sembra quasi fermarsi. “Un esempio emblematico è quello dei coccodrilli, che hanno mantenuto una morfologia pressoché invariata per oltre 200 milioni di anni. Questo fenomeno, noto come stasi evolutiva, si verifica quando una specie è già ben adattata al proprio ambiente e non subisce pressioni selettive significative che ne favoriscano il cambiamento”, chiarisce il ricercatore. “Un altro caso interessante è quello del celacanto, un pesce considerato un vero e proprio ‘fossile vivente’, rimasto sostanzialmente immutato per circa 300 milioni di anni, probabilmente a causa della stabilità degli ambienti in cui vive, le acque profonde oceaniche, e di un patrimonio genetico che muta molto più lentamente di quanto non accada in altri organismi”.

Nel regno animale esistono poi specie che incarnano la lentezza non solo dal punto di vista evolutivo, ma anche biologico e comportamentale. “Il bradipo è un classico esempio: questo mammifero è famoso per il suo movimento estremamente lento, risultato di un adattamento evolutivo a una dieta povera di energia, basata principalmente su foglie, che forniscono poche calorie e nutrienti. Un metabolismo rallentato gli consente di risparmiare energia, riducendo il fabbisogno calorico giornaliero. Inoltre, muovendosi lentamente e mimetizzandosi nella vegetazione, i bradipi riducono il rischio di essere individuati dai predatori”, precisa Monti.

Le tartarughe sono un altro esempio classico di animali che si sono evoluti per essere lenti. Le tartarughe giganti delle Galápagos, che possono vivere oltre 100 anni, hanno un metabolismo estremamente lento e una crescita graduale, caratteristiche che hanno permesso loro di sopravvivere in condizioni difficili per secoli, mantenendo nel tempo una morfologia pressoché invariata.

Bradipo

Bradipo

Talvolta, la lentezza evolutiva rappresenta un ostacolo alla sopravvivenza. “Un caso indicativo è rappresentato dal kakapo, un pappagallo notturno della Nuova Zelanda, caratterizzato da un ciclo riproduttivo molto lungo, incapace di volare e con una scarsa capacità di adattamento rapido, che lo rende particolarmente vulnerabile alle pressioni ambientali”, continua Monti. Anche le specie con cicli vitali lunghi, come gli elefanti o le balene, impiegano generazioni per sviluppare e trasmettere tratti vantaggiosi. “Questo significa che, se l’ambiente cambia rapidamente a causa di fattori come il cambiamento climatico o la distruzione dell’habitat, non riescono ad adattarsi abbastanza velocemente per sopravvivere. Inoltre, la combinazione di una bassa natalità e di una lunga durata della vita rende queste specie particolarmente vulnerabili”, aggiunge l’esperto.

Anche nell’evoluzione umana si osserva questa dinamica di cambiamento graduale. Le modificazioni anatomiche e cognitive che hanno portato all’Homo sapiens sono avvenute nell’arco di milioni di anni. La comparsa della postura eretta, l’aumento della capacità cranica e lo sviluppo del linguaggio sono stati il risultato di una selezione naturale lenta, ma continua. “Al Cnr-Iret ci occupiamo anche dello studio dell’evoluzione dei vertebrati, con particolare attenzione alla diversità genetica e alle dinamiche di popolazione. A titolo d’esempio, uno studio recente ha riguardato la resistenza ai rodenticidi nei roditori delle isole italiane, dimostrando come l’uso prolungato di pesticidi abbia favorito lo sviluppo di resistenze genetiche agli stessi. Questo fenomeno rappresenta una sfida significativa per la gestione delle specie invasive e la conservazione della biodiversità insulare”, precisa il ricercatore.

Altre ricerche riguardano gli uccelli migratori e il modo in cui le loro strategie di migrazione stanno cambiando in risposta ai mutamenti climatici. “Alcune specie stanno riducendo le distanze e i tempi migratori a causa dell’innalzamento delle temperature medie, adattandosi rapidamente alle nuove condizioni ambientali. Questi adattamenti, osservabili nel breve-medio termine, possono avere profonde ripercussioni evolutive nel lungo periodo. Riducendo i percorsi migratori, le popolazioni possono essere esposte a nuove pressioni selettive, come cambiamenti nella disponibilità di risorse e competizione con altre specie. Nel tempo, queste dinamiche possono portare a modifiche nella struttura genetica delle popolazioni, influenzando l’evoluzione delle specie migratorie e favorendo la selezione di tratti più adatti ai nuovi scenari ambientali”, conclude Monti.

L’evoluzione è quindi un processo inesorabile ma lento, in cui il tempo gioca un ruolo cruciale nella modellazione delle specie. Comprendere la lentezza evolutiva aiuta a interpretare meglio il passato e a prevedere le possibili traiettorie future dell’adattamento biologico - compreso quello della nostra specie -, ricordandoci che i cambiamenti significativi non avvengono nell’arco di una singola vita, ma attraverso il susseguirsi di innumerevoli generazioni.

Fonte: Flavio Monti, Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri, flavio.monti@cnr.it

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