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La medicina, tra passi avanti e ritardi

Prelievo
di Rita Bugliosi

Sebbene sia fondamentale per il nostro benessere e per la nostra sopravvivenza, questa disciplina è caratterizzata da lentezza nell’avanzamento rispetto ad altri settori scientifici, quali ad esempio le scienze dure, il cui progresso ha comunque influito positivamente sul campo medico. A farci un quadro della situazione è Fabio Recchia, direttore dell’Istituto di fisiologia clinica del Cnr

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Sono molte le epidemie che hanno colpito nel corso dei secoli l’umanità, dalla peste nera che invase l’Europa dal 1300 al vaiolo, che si diffuse nel 1700, all’influenza spagnola nel 1900, per arrivare a giorni più vicini a noi, con la recente pandemia causata dalla Covid-19, che ha provocato in tutto il mondo la morte di moltissime persone. Tutto ciò ci fa comprendere quanto i progressi della medicina siano importanti per garantire il nostro benessere e la nostra sopravvivenza. Molti sono i passi avanti compiuti da questa disciplina, anche se rispetto ad altri campi della scienza gli avanzamenti sono stati più lenti, come sottolinea Fabio  Recchia, direttore dell’Istituto di fisiologia clinica (Ifc) del Cnr:  “A differenza di discipline quali la matematica, la fisica, la chimica e l’ingegneria, che già nel XVII secolo cominciavano a comprendere fenomeni naturali in termini  rigorosamente quantitativi  grazie alle fondamenta  del metodo scientifico e del calcolo differenziale poste da personaggi quali Galileo Galilei, Gottfried, von Leibniz  e Isaac Newton, la medicina era in forte ritardo. In quello stesso secolo, essa seguiva ancora fedelmente gli antichi principi ippocratico-galenici, con diagnosi e terapie basate sulla teoria dei quattro umori, ovvero dei fluidi bianco o flegma, giallo o bile gialla, nero o bile nera e rosso o sangue, i quali, secondo i medici del tempo, permeano il nostro organismo e causano malattie quando uno di essi venga prodotto in eccesso”.

Un ritardo rispetto alle scienze dure che si è protratto a lungo, arrivando fino alla seconda metà del XIX secolo, in tempi dunque piuttosto recenti. “L’avvento del metodo scientifico e, quindi, sperimentale applicato allo studio della fisiologia e codificato nel famoso trattato ‘Introduzione alla medicina sperimentale’, scritto dal medico francese Claude Bernard nel 1865, ha solo allora consentito di iniziare un percorso di progresso - poi sempre più rapido - della diagnostica e terapeutica medica e chirurgica. Iniziava dunque la medicina moderna, che tra le tappe importanti raggiunte fra XIX e XXI secolo annovera l’invenzione dell’anestesia, che poneva fine a millenni di sofferenze dei pazienti sottoposti a interventi chirurgici, ma anche la scoperta di antibiotici e vaccini che hanno rivoluzionato la statistica delle cause e dell’età media di morte”, chiarisce il direttore del Cnr-Ifc.

Scienziato al microscopio

Il progresso delle scienze dure ha comunque avuto un effetto positivo anche sulla medicina moderna, provocandone un significativo avanzamento. “Lo sviluppo di strumenti quali il microscopio, ad esempio, utilizzato in ambito medico, ha consentito finalmente di osservare cellule e microrganismi. Ma anche la chimica ha dato risposte sulla composizione dell’organismo; la matematica e la fisica poi hanno offerto mezzi potenti per misurare e quantificare fenomeni fisiologici e alterazioni fisiopatologiche o anatomo-patologiche. Branche della biologia come la biochimica, la biologia molecolare, la farmacologia, la fisiologia, l’immunologia, la microbiologia e la patologia cellulare-molecolare, rigorosamente basate sul metodo scientifico, si sono affermate fornendo strumenti interpretativi senza i quali nessun avanzamento della medicina clinica sarebbe stato e sarebbe attualmente possibile. Non a caso, quasi tutti i premi Nobel per la Fisiologia o la Medicina degli ultimi decenni sono stati assegnati a studiosi che, indipendentemente dalla loro formazione, hanno di fatto operato in ambito di biologia e fisiologia sperimentale”, precisa Recchia.

Malgrado i progressi compiuti nell’ambito della biomedicina e della medicina clinica, queste discipline sono però ancora in ritardo rispetto ad altri ambiti scientifici e ciò è dovuto anche alla scarsa propensione di questo settore a utilizzare adeguatamente il linguaggio matematico, che fornirebbe un importante supporto. “Riuscire a racchiudere la descrizione dei fenomeni fisiologici e di quelli patologici in funzioni matematiche che ne permettano la comprensione rigorosa in termini quantitativi e, quindi, la previsione quantitativa della loro evoluzione e della loro risposta a farmaci o altri interventi correttivi sarebbe estremamente utile. Oggi, invece, la descrizione della maggior parte dei fenomeni biologici e delle patologie è ancora prevalentemente qualitativa, discorsiva. Certo, la materia biologica è molto più complessa e variabile di quella non biologica, ma ciò non deve costituire un alibi, anche perché in alcuni ambiti è già stato fatto, come dimostra la raggiunta capacità di quantificare e modellizzare matematicamente fenomeni complessi quali, ad esempio, il flusso ematico, la meccanica di polmoni, ossa, articolazioni e muscoli, l’attività elettrica di cuore, nervi e cervello. E i circuiti di quest’ultimo stanno addirittura ispirando la progettazione delle reti neurali sulle quali si basa l’intelligenza artificiale, protagonista della nostra era supertecnologica”, conclude l’esperto che aggiunge: “Ecco, se il dialogo paritario fra ricercatori di discipline che includano tanto le non biologico-mediche quanto le biologiche e cliniche, già in corso da anni presso i migliori centri di ricerca, consentirà l’immissione in cervelli artificiali di modelli matematici delle varie componenti dell’organismo - da quelle molecolari ai sistemi di organi - potremmo assistere alla nascita di una ‘medicina quantitativa’, in grado di valutare e predire con bassissimo margine di errore e di inventare agenti/strumenti terapeutici sinora impensabili”. 

Fonte: Fabio Recchia, Istituto di fisiologia clinica, fabioanastasio.recchia@cnr.it

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