Faccia a faccia

È tempo di libri. E di matematica

Chiara Valerio
di M. F.

Incontro con Chiara Valerio, dottore in matematica “per ripicca”, autrice di successo di romanzi e racconti e direttrice culturale della nuova fiera del libro milanese. “La cultura è una, non conosce distinzioni tra scienze umane e naturali”

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Chiara Valerio è nata a Scauri nel 1978 e ha conseguito un dottorato in matematica all'Università Federico II di Napoli. Ha scritto romanzi e racconti tra cui: 'A complicare le cose' (Robin 2007), 'La gioia piccola d'esser quasi salvi' (Nottetempo 2009), 'Spiaggia libera tutti' (Laterza 2010), 'Almanacco del giorno prima' (Einaudi 2014, Premio Fiesole) e 'Storia umana della matematica' (Einaudi 2016). È traduttrice, redattore di Nuovi Argomenti, collaboratrice de l'Unità, la Domenica del Sole 24 Ore e Glamour, di 'Ad alta voce' di Rai Radio3 e del programma televisivo 'Pane quotidiano' di Rai Tre. Per l'editrice Nottetempo dirige una collana ed è direttrice culturale della nuova fiera del libro milanese Tempo di libri, che si svolgerà dal 19 al 23 aprile presso Fiera Milano Rho.

Le interviste dell'Almanacco in genere coinvolgono personaggi che non hanno a che fare con il mondo della scienza. Lei invece nasce matematica, consegue un dottorato, ma poi si dedica alla narrativa e alla letteratura. Come è avvenuto il suo percorso di studi e professionale?

Lo confesso: ho studiato matematica perché non ho superato l'esame di ammissione alla classe di Lettere della Scuola Normale di Pisa nel 1996, per ripicca. Ed è stata la mia salvezza! È stata, a oggi, una delle più belle e grandi avventure intellettuali della mia vita. L'ho studiata per 12 anni, un po' perché studiare mi è sempre piaciuto, un po' perché la matematica i rassicurava: potevi sapere o non sapere le cose, ma non imbrogliare, non potevi dire di saperle. Una grande scuola di realtà e di autenticità, appassionante. Avrebbe forse continuato a esserlo se nel 2007 non fossi stata scelta come rappresentante italiana di 'Scritture giovani' di Festivaletteratura di Mantova. Avevo pubblicato due raccolte di racconti con La Biblioteca del Vascello e da lì è cominciata un'altra strada, questa che per esempio oggi mi porta a risponderle.

L'abbinamento tra cultura umanistica e scientifica è in realtà molto frequente, soprattutto nei casi di eccellenza: perché, allora, questo dualismo ancora persiste, soprattutto in Italia?

Perché la nostra storia educativa – ovviamente mi riferisco a Croce e Gentile – ha imposto la 'doppia cultura', mentre la cultura, come tutte le cose umane, non conosce distinzioni. Pensi al nostro Rinascimento. Le distinzioni servono semmai per l'istruzione, la cultura ha a che fare con le scelte di come e di ciò che ciascuno di noi vuole studiare, imparare o capire delle cose e degli esseri umani. Credo che paghiamo questo scotto, che ci siamo abituati a questa distinzione per pigrizia o malavoglia.

Come scrittrice è nota e apprezzata per opere in cui la matematica è protagonista, dall' 'Almanacco del giorno prima' alla 'Storia umana della matematica'. Come mai l'immagine di questa disciplina appare così condizionata dalla supposta aridità dei 'numeri'?  

Prima dell'aridità dei numeri, c'è la natura dei numeri. La matematica si basa sulle successioni e nelle successioni il tempo non passa. Nelle successioni, a partire dai numeri naturali, c'è già tutto: il presente, il passato e il futuro. Come negli elenchi. Ci pensi: nella lista della spesa c'è già tutto quello che in casa manca. Dunque nelle successioni il tempo non passa. Solo che nella vita invece il tempo passa e l'unico tempo che non passa mai è la morte. La matematica sconta questa superstizione. Le persone hanno paura della matematica perché la matematica è una disciplina ctonia, ci ricorda la morte. Prima dell'aridità, c'è la superstizione.

E cosa cambierebbe nella didattica della matematica? 

Comincerei a dire, come facevo negli anni in cui ho insegnato all'università e soprattutto a scuola, che la matematica non studia i concetti ma le relazioni tra i concetti. Che le 'verità' della matematica – le soluzioni di un'equazione, per esempio – dipendono dal contesto, da un insieme di definizioni, come le verità umane. Le verità matematiche, come quelle quotidiane e addirittura come i sentimenti, sono assolute ma nel tempo e nello spazio. È molto utile dimostrare un teorema e togliere mano a mano un'ipotesi, per vedere dove si ferma il ragionamento. Quando lo facevamo i ragazzi si divertivano e io pure, capivamo assieme che per fare una certa torta, come per un teorema, ci vogliono certi ingredienti e non altri. Studiare matematica significa non temere e non credere di detenere alcun principio di autorità che non possa essere discusso e confutato da chiunque ne abbia l'intenzione e la capacità. Significa confrontarsi, almeno una volta, con qualcosa di molto difficile, per capire il quale c'è bisogno di tempo e dedizione. Vuol dire assumersi il rischio di non riuscire mai a capire. Insomma, studiare matematica è contemporaneamente un bagno di umiltà e onnipotenza. La matematica insegna come la conoscenza sia sempre un processo e mai una conclusione: se lo si facesse capire, credo che molti più ragazzi penserebbero a iscriversi a questa facoltà.

Come nasce Tempo di libri? È davvero solo, come alcuni dicono, la fiera dei 'grandi editori'?

No. Dal 7 aprile sarà disponibile sul sito tempodilibri.it la lista completa dei marchi editoriali che partecipano e ciascuno potrà valutare. Tempo di Libri è la fiera dell'editoria italiana cui partecipano 'anche' i grandi editori. Che in ogni caso - è strano, ma ho capito che è necessario sottolinearlo - non sono grandi solo per numero di titoli o fatturati, ma anche per qualità, hanno un catalogo ampio e significativo.

Aumentare l'offerta di kermesse letterarie mentre si lamenta la scarsità di lettura non è una contraddizione? 

I festival e le fiere servono a esporre i libri e penso sia necessario che sempre più persone familiarizzino nuovamente con l'oggetto libro, se lo portino a casa e, forse, un giorno lo aprano. L'obiettivo è far tornare i libri nelle case perché a qualcuno un giorno venga in mente di scartarli e assaggiarli, come si fa con una scatola di biscotti. E poi, per quanto riguarda la lettura… Forse si leggono pochi libri ma si legge moltissimo in assoluto, dagli sms ai social, anzi credo che non abbiamo mai letto tanto. In realtà il libro, come concetto, è immutato dalla sua invenzione, è cambiato soltanto il modo di leggerlo. Questa distanza tra libro, lettura e lettore, è una delle linee del programma professionale curato da Gianni Peresson.

Il Cnr sarà presente a tempo di libri con la traduzione del Talmud a cui ha collaborato il nostro Istituto di linguistica computazionale: come avete deciso di far partecipare quest'opera?

L'operazione del Talmud Babilonese è entusiasmante! Rompe, per tornare alla sua domanda, il dualismo tra cultura scientifica e umanistica. Inoltre, il modo in cui è stato pensato e implementato Traduco, il software per i traduttori cui ha collaborato il Cnr, somiglia moltissimo alla composizione del Talmud stesso, che è arrivato a noi attraverso chiose, rivisitazioni, interpretazioni e commenti di persone che si confrontavano. Insomma, ne sono entusiasta. Quando Shulim Vogelmann della casa editrice Giuntina me ne ha raccontato per la prima volta mi sono messa a saltare di gioia. Ho pensato al Golem di Meyrinck, la storia del campanaro di terracotta che il rabbino di Praga plasma perché lo aiuti e che si muove perché sulla fronte ci sono alcune lettere… poi il rabbino sbaglia lettera e il Golem si trasforma in un mostro… Ecco, Traduco è anche una riflessione sul rapporto tra linguaggio di programmazione e macchine, che poi è 'la' riflessione per eccellenza di oggi, visto che quasi nessuno di noi conosce né quindi controlla il linguaggio in cui le macchine e i nostri dispositivi sono programmati.

L'evoluzione di supporti e strumenti come tablet, smartphone, ebook, aiuterà la fruizione dei contenuti di qualità?

Come dicevo, credo che i dispositivi siano neutri nella misura in cui impariamo, almeno un poco, a controllarli e gestirli. D'altro canto se pensa che la ricerca, anche quella di base, viene finanziata per le novità che può portare e non per le ricerche già fatte da altri - e la ricerca è l'acme della cultura di un paese - forse il nostro atteggiamento di rinuncia alla verifica viene ancor prima dei dispositivi. Ma questo è un discorso più complicato. O forse più semplice di quanto sembri.

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