Un libro stampato. Anzi, molti
Nella tradizione letteraria l'isola è presentissima, come scenario narrativo e come metafora di “altrove” sospesi nello spazio e nel tempo. Una dimensione che ci riporta anche all'isolamento forzato della pandemia, come sottolinea Paolo Squillacioti, direttore dell'Istituto Opera del vocabolario italiano del Cnr
Le isole accendono da sempre la fantasia di scrittori e lettori a cominciare dall'Odissea di Omero, capostipite della letteratura d'avventura. Tra il Seicento e il Settecento, in seguito alle grandi scoperte geografiche, nasce il romanzo d'avventura, un vero e proprio genere che trasforma le isole nel simbolo del luogo al di fuori della società, luoghi incontaminati dove le regole sono semplici e la forza della natura domina su tutto, come nel Robinson Crusoe di Daniel Defoe. L'isola è un luogo così lontano dalla terraferma e dalla sua realtà da diventare magico: basti pensare all'Isola che non c'è di Peter Pan o all'Isola misteriosa di Jules Verne. In letteratura l'isola diviene spesso la metafora di un altrove verso cui evadere, anche solamente con l'immaginazione. “L'isola rispecchia una condizione di serenità o, addirittura, di felicità perché è una realtà ordinata, dove non ci sono conflitti né dissidi, e tutto funziona bene. Un'isola è staccata da tutto il resto e il mare ne costituisce l'unico legame con la terra, cosa che consente di raccontare una storia dislocata in un altrove che l'isolamento rende ancora più suggestivo”, spiega Paolo Squillacioti, direttore dell'Istituto Opera del vocabolario italiano (Ovi) del Cnr.
Isolata dal resto della terra, come dice la parola stessa, su un'isola tutto diventa possibile, anche solo proiettare i propri desideri. Il mare è l'unico punto di contatto con la terra ferma e questo isolamento consente di raccontare un'azione che nasce e si conclude nel medesimo luogo. Questo ha permesso agli autori di tutti i tempi di raccontare mondi irraggiungibili stando comodamente seduti sulla poltrona di casa, basti pensare a Emilio Salgari, il creatore di Sandokan, che nella sua immensa produzione letteraria (oltre 80 romanzi) ha descritto terre esotiche che non aveva mai visitato. “Su questo tema esiste una linea che unisce la letteratura di tutte le epoche. Non a caso, due tra le più famose rappresentazioni utopiche, “Utopia” di Thomas More e “La città del sole” di Tommaso Campanella, sono ambientate su un'isola”, prosegue il direttore dell'Ovi.
Nel corso dei secoli le isole non hanno mai smesso di affascinare gli scrittori: da Procida, in cui è ambientata “L'isola di Arturo” di Elsa Morante, fino alla Corfù estasiante di cui racconta Gerald Durrell ne “La mia famiglia e altri animali”, la natura di questi luoghi diventa la vera protagonista del romanzo. Quella delle isole in letteratura è una tendenza che non sembra sfiorire, anzi. Negli ultimi anni sono state pubblicate numerose opere ambientate su un territorio circondato dall'acqua che, con la sua storia e i suoi segreti, conducono il lettore in luoghi incantati.
Nel suo libro “Le rose di Atacama” Luis Sepúlveda ha dedicato un intenso racconto a un'isola della Croazia a cui era molto legato, Lussinpiccolo, per descrivere la storia dei Balcani e spiegare come questi popoli provenienti da tutte le parti dell'ex-Jugoslavia non riuscissero più a convivere in nome del senso di giustizia e libertà.
Ecco spiegato perché l'isola è il luogo perfetto in cui rappresentare storie in cui il tempo viene sospeso. “Spesso, nell'arco della narrazione si rivela lo stupore dell'autore di fronte a una natura incontaminata da forme di progresso, condizione che spesso gli scrittori rifuggono. Pensando a 'Lost', una serie televisiva di qualche tempo fa ambientata in un'isola, viene narrata una situazione molto ingarbugliata nei rapporti spazio tempo che rende la vicenda come una sorta di mondo ideale un po' alterato”, aggiunge Squillacioti.
L'atmosfera che si respira su un'isola deserta, o abitata da ospiti che si scoprono soltanto nel corso della narrazione, crea una sospensione del tempo del tutto analoga alla condizione che stiamo vivendo. Esattamente come su un'isola, anche il tempo che abbiamo a disposizione si è dilatato e avvertiamo il bisogno di ancorarci a qualcosa per non perdere il contatto con la realtà. “Lo stesso Robinson, quando arriva sull'isola deserta, ha necessità di non perdere il contatto con il tempo, proprio perché viene da una situazione, quella dell'Inghilterra della sua epoca, in cui il tempo era un elemento importante per ragioni economiche e commerciali. Questo eterno presente si ritrova in molte narrazioni in cui è difficile agganciarsi a elementi che scandiscono il trascorrere del tempo. L'impegno di Robinson nell'inventare un modo per non perdere il contatto con il tempo, è paragonabile alla funzione assolta dai social network nell'ultimo periodo, in cui si vive un rapporto con una realtà e un tempo paralleli”, conclude l'esperto.
Fonte: Paolo Squillacioti, Istituto Opera del vocabolario italiano, email direttore@ovi.cnr.it