Saggi

Ambivalente abitudine

Copertina del libro Guardate meglio
di M. F.

Tali Sharot e Cass R. Sunstein, in “Guardate meglio” (Raffaello Cortina Editore), indagano il meccanismo per cui il nostro cervello privilegia ciò che è nuovo e diverso e rispondiamo sempre meno a stimoli che si ripetono. Determinante per una serie amplissima di realtà, positive e negative. In primis, volere cose “per poi ignorarle in fretta quando finalmente le otteniamo”

Pubblicato il

L’oggetto di “Guardate meglio” (Raffaello Cortina Editore) di Tali Sharot e, Cass R. Sunstein, è ambivalente, l’abitudine è una utile comfort zone ma anche una routine alienante. Che il nostro cervello dia “la priorità a ciò che è nuovo e diverso”, al punto che un'immagine fissata a lungo scompare, che rispondiamo sempre meno a stimoli che si ripetono è determinante per una serie amplissima di realtà positive e negative.

Intanto, l’“abituazione” ci porta a “volere cose (una bella macchina, una casa grande, un partner che ci ami, un lavoro ben remunerato), per poi ignorarle in fretta quando finalmente le otteniamo”, tipico esempio il desiderio sessuale acceso soprattutto in assenza della persona desiderata. Crea problemi di vario genere: psicologici, come i traumi da anaffettività, talvolta persino più profondi di quelli da abuso; relazionali, pensiamo ai genitori che non colgono le modifiche comportamentali dei figli potenzialmente sintomatiche; pratici, per esempio incidenti sul lavoro causati dalla minore percezione di un rischio ripetuto. Ma può anche agevolare circoli virtuosi, come l’inclusione sociale di persone marginalizzate o, semplicemente, imparare a nuotare.  Il tema, ribadiamo, è ambiguo. Sperimentare una cosa di continuo riduce il piacere che se ne ricava, ma la familiarità può aumentare la sensazione di benessere. L’ infelicità dovuta all’acquietamento che insorgerebbe con la mezza età, tra i 48 e i 62 anni, è reversibile nel godimento sereno di non dover più inseguire forzatamente qualcosa di meglio.

L’abitudine è una chiave di lettura del mondo avanzato, la cui insoddisfazione ricorda quella di un bambino viziato, determina quel “tramonto dell'occidente” per cui sembriamo inventarci sempre nuovi stimoli artificiosi; ma è anche la molla che determina il continuo progresso, sviluppo, miglioramento. Un paradosso per cui, ad esempio, le donne più emancipate dichiarano spesso minore soddisfazione, poiché si amplia il divario tra aspettative e quanto si ottiene effettivamente (la “previsione negativa”, secondo il lessico delle neuroscienze).

Non c’è soluzione assoluta o definitiva, certamente non quella della soddisfazione materiale permanente, come attestano i suicidi dei super ricchi o delle star. Quella, più predicata che praticata, di godere delle buone cose disponibili in modo epicureo, stoico o zen che dir si voglia, la contentezza ottenuta abbassando le aspettative, sobrietà, minimalismo e decrescita felice reggono solo in parte, perché spingono a rinunciare a combattere e migliorare. Più solido l’invito a privilegiare “la gioia di dare”, cui ci si assuefà più lentamente e che “di solito produce un senso maggiore dal ricevere”, fino a estremi come il sacrificio, l’altruismo, l’eroismo.

Non c’è risposta univoca perché la questione investe situazioni troppo varie: possesso, uso e condivisione di beni e servizi, oggetti che ci sopravvivono, obsolescenza programmata, usa e getta, consumismo e bisogno indotto, social media, dolce domenicale, ansia della pandemia e dell’ambiente, menzogne in politica e grandi truffe, misinformazione, slogan ideologici o pubblicitari, ricchezza relativa. Il saggio propone una carrellata molto ampia in cui a spiccare è l’amore: la storia fugace di “Casablanca” insegna come il dolore dell’addio sia anche consapevolezza che, più di così, non si potrà mai più essere legati all’altro.

Per dirla con Philippe Delerme, la prima sorsata di birra è sempre la migliore. L’abitudine è determinante per la sopravvivenza, ci aiuta ad adattarci all’ambiente, consente di superare qualunque disagio. Con non poche controindicazioni: dopo un po’ non si soffre più in una stanza piena di fumo, nei Paesi con meno diritti i diritti contano di meno, idem per redditi e ricchezza, tendiamo a subire una discriminazione ripetuta. Ci si abitua alla dittatura, al lockdown o alla povertà. Un po’ come la rana bollita.