Saggi

Pubblicare in medicina, troppo e inutilmente

Copertina del libro Sul pubblicare in medicina
di M. F.

La comunità dei ricercatori è misurata, valutata, premiata e finanziata su parametri di produttività bibliografica che non convincono molti esperti, tra cui Luca De Fiore, autore del saggio “Sul pubblicare in medicina” edito da Il Pensiero Scientifico

Pubblicato il

Il volume “Sul pubblicare in medicina” (Il Pensiero Scientifico) di Luca De Fiore apre uno scenario su “impact factor, open access, peer review, predatory journal e altre creature misteriose” che abbraccia tutto lo spettro della ricerca scientifica, ben oltre l’ambito disciplinare bio-medicale. L’intera comunità dei ricercatori è infatti misurata, valutata, premiata e finanziata su parametri di produttività bibliografica che non convincono molti esperti. Sicuramente non l’autore.

Parliamo di un mondo editoriale segnato da colossi imprenditoriali come Springer Verlag ed Elsevier e da un giro di diritti e profitti in crescita - nel segmento medico girano utili del 38%, nell’ordine di 30 miliardi di sterline - ma, soprattutto, dal paradosso del lavoro gratuito. Come “compagnie petrolifere a cui viene data la benzina gratis”, ironizza Richard Smith, già direttore del British Medical Journal: gli autori, addirittura, pagano per pubblicare. Un’anomalia che comunque, in modo meno strutturale, si riscontra anche in altri ambiti editoriali, dalla letteratura fino al giornalismo.

La comunità scientifica lamenta di essere sfruttata, una lettera aperta al riguardo è stata sottoscritta da 34.000 ricercatori, ma cambiare non è facile, poiché le pubblicazioni restano il fondamentale metro di misura. Tant’è che la domanda non accenna a calare, all’insegna dell’ormai noto slogan “publish or perish” (espressione ormai tanto nota da aver ispirato un gioco di società), e alimenta migliaia di riviste con milioni di articoli proposti e usciti ogni anno. Rispetto alla straordinaria parsimonia autorale di Peter Higgs, Nobel e celeberrimo scopritore del bosone, si contano pletore di ricercatori che pubblicano un articolo ogni quattro giorni, una prolificità simile a narratori come Isaac Asimov, Stephen King e Agatha Christie, che fa sorgere legittimi sospetti. Suffragati dal 70% di scienziati europei che ammette la partecipazione a progetti con colleghi che non avevano contribuito in modo sufficiente e da confessioni come quella di un firmatario citato da De Fiore: “L'unica cosa che ho fatto è scambiare due parole per pochi secondi con il primo autore in ascensore”.

Degli articoli si deve valutare se sono davvero originali e importanti, o soltanto la coerenza tra metodi seguiti e risultati ottenuti, come accade spesso, con il risultato di pubblicare anche quelli superflui? Sta qui il punto di partenza epistemologico della discutibile deriva etica su cui il volume si concentra: guest e ghost authorship; sottovalutazione dei contributi femminili; agenzie di comunicazione, cioè studi sostanzialmente mirati a catturare l'attenzione dei media; organizzazioni che a scopro di lucro fabbricano falsi articoli spesso indistinguibili da quelli veri, database su cui fondare lo studio e peer review, corrompendo gli editor delle riviste e piazzando propri agenti nei comitati. E poi riviste predatorie che invitano a sottoporre proposte pubblicate rapidamente e senza peer review, sistema di controllo peraltro insufficiente a evitare le frodi, che si verificano numerose e clamorose, si pensi solo allo studio che collegava alcune vaccinazioni all’insorgere di autismo. E ancora, la comunicazione di impresa alimentata da finanziamenti industriali, condizionamenti che vanno dalle bibite zuccherate al vino e che, secondo il saggio, oscurano l’intero spettro della cura e della ricerca clinica e sanitaria, divisa tra esigenze di salute, di carriera e di perpetuare attività talvolta poco utili.

Ci sono segnali di cambiamento tra i quali il preprint - la condivisione degli articoli anticipata rispetto alla sottomissione formale, considerata più trasparente e democratica - le biblioteche digitali e l’open access, con articoli accessibili gratuitamente, da cui si auspica almeno un sistema ibrido, garante di maggior equità e costi minori. Ma lo scetticismo prevale e Richard Horton, famoso direttore di Lancet, ritiene che “lo stato dell’editoria scientifica non è mai stato così precario come oggi”. I limiti strutturali dell’editoria scientifica sono difficilmente correggibili: i difetti della revisione tra pari “sono più facili da identificare dei pregi” e la rejection rate, il rapporto tra articoli ricevuti e rifiutati che garantendo maggior qualità “dovrebbe essere vista come ciò che la scienza deve fare”, rende più costosa la gestione delle riviste, che sono così caratterizzate da diversissimi impact factor (le citazioni degli articoli pubblicati che ne indicano l’autorevolezza). In sintesi, il rigore si ritorce contro chi lo esegue.

Il saggio di Luca De Fiore è, in finale, utile anche in termini generali di comunicazione. Evidenzia come la letteratura scientifica segua modelli narrativi standardizzati e rassicuranti: la sorpresa iniziale, la metafora dell’iceberg e dei pericoli affioranti, la rivendicazione di una novità che però non significa rilevanza. Invita i ricercatori a misurare il proprio impatto sui media e sui social, oltre che nella propria comunità, ad ascoltare pazientemente, a mettere in discussione le proprie certezze, a correggere la convinzione che la disseminazione riguardi solo il risultato degli studi, poiché la conoscenza è un’attività circolare. Bisogna però evitare, considerata l’infodemia in cui viviamo, il rischio di una comunicazione delle mere “intenzioni”. Quella tra ricerca e storytelling è “una relazione affascinante e scivolosa”.

Titolo: Sul pubblicare in medicina
Categoria: Saggi
Autore: Luca De Fiore
Editore: Il Pensiero Scientifico
Pagine: 182
Prezzo: 18,00