Predatori nelle Alpi: dall’alterità alla convivenza
La ricomparsa di orso e lupo nell’arco alpino e la mutazione degli equilibri nella convivenza con le popolazioni ha provocato un dibattito che ha portato a considerare i grandi carnivori “specie aliene”. Un approccio più sereno e maturo, mediato dalle conoscenze scientifiche, può consentire di rivedere le problematiche alla luce dei mutamenti degli ecosistemi. Ne abbiamo parlato con Emiliano Mori dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Cnr
Nel corso degli ultimi anni molti territori dell’arco alpino hanno registrato un significativo ritorno dei grandi carnivori - in particolare orsi e lupi - da molto tempo considerati estinti o prossimi alla scomparsa definitiva. L’incremento della presenza dei plantigradi si deve a un progetto promosso in ambito europeo e attuato dal Parco Adamello-Brenta e dalla Provincia autonoma di Trento che negli ultimi anni del secolo scorso ha mirato al ripopolamento dell’orso bruno, importando alcuni esemplari dalla Slovenia. Il lupo è invece ricomparso e si è diffuso autonomamente. Altrettanto, anche se con numeri decisamente minori, si è verificato con la lince e con alcuni rapaci.
La presenza e l’aumento della densità di questi predatori, collocati al vertice della catena alimentare, sono indice di una situazione estremamente dinamica all’interno degli equilibri che regolano gli ecosistemi alpini. Un’alterazione particolarmente evidente si può registrare nei rapporti tra la popolazione umana che vive o risiede periodicamente, in particolare per turismo, in montagna e la fauna.
Le problematiche legate alla convivenza e il dibattito pubblico che ne è scaturito sono arrivate a considerare i grandi carnivori come “specie aliene”, causa della rottura di equilibri particolarmente delicati e consolidati nel rapporto uomo-montagna. Un dibattito che si è spesso polarizzato tra le posizioni di un ambientalismo nato lontano dai territori montani e contrassegnato da una matrice culturale prevalentemente urbana, contrapposto a un’idea di natura e della sua conservazione prodotta dalle popolazioni delle “terre alte”, con una concezione della montagna vissuta in termini socioeconomici, molto diversa da visioni idealizzate di mondi rurali alpini e contesti interamente naturali. Né lo sfruttamento dei territori in nome delle logiche di mercato (soprattutto turistico) né un ambientalismo ideologico hanno dimostrato di fare il bene della natura e di chi ci vive.
La rinnovata presenza di orso e lupo è anche figlia di uno spopolamento demografico e culturale della montagna e della cosiddetta “wilderness di ritorno”, che in termini storico-antropologici sanciscono il tramonto di un modello di civilizzazione che ha attraversato l’ultimo millennio. Le difficoltà nel praticare l’agricoltura, l’allevamento e il pascolo in quota sono sintomo di un progressivo inselvatichimento, dovuto anche alla scarsa lungimiranza di molte politiche dedicate alla montagna e a chi la abita. Tali politiche, nel caso italiano, dovrebbero avere un preciso ancoraggio nello spirito e nella lettera dell'art. 44 della Costituzione repubblicana, che riconosce alla montagna uno specifico rilievo, precisando oneri di sostegno a favore di questi preziosi territori intesi come fondamentali per lo sviluppo complessivo del Paese.
Emiliano Mori dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri (Iret) del Cnr è specializzato in biologia della conservazione e ha dedicato numerosi studi alla convivenza tra la popolazione umana e la fauna. Muovendo dalla necessità di evitare letture unilaterali, di adottare un approccio scientifico e politiche rigorose rispetto a ogni problematica legata alla convivenza con gli animali , in primo luogo i grandi predatori, ci fornisce una serie di riflessioni e indicazioni per promuovere e preservare un rapporto positivo e rispettoso nei riguardi della fauna: “Possibili forme di conflittualità possono essere prevenute e risolte attraverso adeguate campagne di informazione sui comportamenti degli animali e sulle condotte da tenere in caso di incontro. Occorre fare tesoro della lunga esperienza di zone ad alta densità di predatori, ad esempio la Slovenia e il Canada, per la gestione di esemplari particolarmente confidenti o problematici, adottando protocolli che prevedano interventi progressivamente più decisi: dall’allontanamento alla rimozione e, nei casi più gravi e recidivi, all’abbattimento”.
Con l’espansione dell’areale di presenza, sono aumentate le possibilità di incontro con i grandi carnivori. “In Italia, lupi e orsi sopravvivono in un mondo dominato dall’uomo; le loro ampie esigenze territoriali, nonché la ridotta estensione delle aree protette, rendono inevitabile la loro coesistenza con l’uomo. Ciò tuttavia non deve spaventarci: se siamo preparati, c’è spazio per tutti”, aggiunge il ricercatore, che conclude: “Troppo spesso in Italia il ricorso alle conoscenze scientifiche viene sostituito con approcci ideologici, sovente l’opinione diviene gestione. La coesistenza tra popolazione umana e animale deve basarsi sulla scienza. I sentimenti possono servire per sviluppare il rispetto per la natura, ma non per gestirlo”.
Fonte: Emiliano Mori, Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri, emiliano.mori@cnr.it