Stefano Accorsi: raccontare Marconi e la forza della radio
In un’intervista per l'Almanacco del Cnr, Stefano Accorsi discute il suo ruolo nel progetto televisivo su Guglielmo Marconi, svelando le sfide e le emozioni nel rappresentare l'illustre inventore. L’attore approfondisce la preparazione del personaggio e l’uso di strumentazioni originali. Esprime la sua visione sulla longevità della radio come media e riflette sull'evoluzione e la libertà narrativa nel cinema contemporaneo. Conclude parlando dei suoi prossimi progetti, tra cui un film diretto da Cristina Comencini
Nato a Bologna, Stefano Accorsi ha avuto sin da ragazzo il desiderio di affermarsi come attore. Nel 1992, ventenne, lavora nel film di Pupi Avati “Fratelli e sorelle” e vince il premio come miglior attore esordiente. Si iscrive quindi alla Scuola di teatro di Bologna, dove si diploma nel 1993; l’anno successivo raggiunge una certa popolarità girando con Daniele Luchetti uno spot per una nota marca di gelati. Iniziano, quindi, ad arrivargli proposte dal mondo cinematografico, la sua carriera decolla e lavora con registi affermati come Ferzan Ozpetek, Nanni Moretti, Carlo Mazzacurati. Nella serie tv “Marconi - L’uomo che ha connesso il mondo”, disponibile su Rai Play, veste i panni dello scienziato inventore della telegrafia senza fili.
Come è nato il progetto televisivo su Marconi e come si è trovato a interpretare una persona così importante, poliedrica e famosa?
Quando me ne hanno parlato, la sceneggiatura era ancora in evoluzione, ma già si intuiva il senso della storia che, fin da subito, mi ha appassionato. Conoscevo Marconi solo sulla base delle mie nozioni scolastiche, ma se penso alle sue invenzioni, all’impatto che ha avuto su larga scala il loro utilizzo, rispetto a questa importanza si tratta di un personaggio forse un po’ troppo dimenticato.
C'è stato un lavoro di preparazione particolare?
Per quanto riguarda la costruzione del personaggio, ci siamo potuti ben documentare, perché su Marconi c'è molta letteratura. Oltretutto disponevamo di informazioni “di prima mano”. Sia gli autori che il biografo di Marconi, a cui ci siamo rivolti, erano in contatto diretto con la famiglia. Ci siamo rivolti anche alla Fondazione Marconi. Poi siamo sempre stati seguiti anche sul set. Per scrupolo di precisione c’era sempre qualcuno che ci diceva esattamente dove mettere le mani. Gli strumenti usati sono originali. Alcuni provengono dalla villa di famiglia a Sasso Marconi. La cabina-laboratorio del panfilo Elettra proviene dal Museo dell’Eur, dove è stato ricostruito fedelmente, sempre con l’apparecchiatura autentica.
Che effetto le ha fatto maneggiare la strumentazione originale, le tecnologie del tempo? C'è stata una scena che la ha emozionata di più nell'interpretare il personaggio?
È stato fantastico, ma anche vederli in tv, sapendo che si tratta degli strumenti originali fa un certo effetto. Nella scena in cui a Marconi riesce la trasmissione transoceanica ho provato un’emozione esplosiva. Mi sono chiesto come si dovesse sentire in quel momento, in cui si giocava il tutto per tutto. Contro la fisica ufficiale, continuava a basarsi sulle proprie convinzioni, elaborate grazie a esperimenti fisici. Certo, si basava su dei fatti, ma nulla del genere era ancora stato provato. Ecco perché credo, o almeno mi piace pensarlo, che in quel preciso istante, nonostante fosse convinto delle sue idee, abbia provato un senso di solitudine profonda. Poi, quando ha percepito quella prima ‘S’, i tre puntini del telegrafo, segno che quindi ce l’aveva fatta, avrà vissuto uno di quei rari momenti che si ricordano per sempre. Per questo è giusto continuare a ricordarli anche da parte nostra.
In quel preciso momento avrà probabilmente immaginato il futuro della radio
Sicuro, lì c’era proprio, credo, l'emozione, anche un calo della tensione, poi il tutto vissuto davvero in condizioni estreme…
Erano condizioni scomode, molto spartane, per fare ricerca
Era una baracca! Però lui, essendo abituato a guardare sempre oltre, era un avanguardista, sicuramente aveva già pensato al significato che avrebbe potuto assumere l’esperimento, anche prima che potesse funzionare.
Rispetto ad altre tecnologie la radio ha tanti anni e continua comunque a essere un media al centro dell'attenzione. Secondo lei, è in grado di resistere agli urti del tempo?
Sì, assolutamente e lo dico anche da fruitore. È la radio, oggi, a determinare il grande successo di una canzone, poi con le nuove tecnologie la si può anche avere sul telefono, con le app si può ascoltare la radio preferita dall'altra parte del mondo quando si vuole, in tempo reale. È una risorsa infinita.
Se la radio resiste anche rinnovando la tecnologia, il cinema, invece, come si comporta?
Partiamo già dal teatro, che sicuramente è una forma di espressione che non morirà mai. Nel senso che a teatro basta che uno si alzi e cominci a raccontare una storia. Se quella storia è raccontata bene e c'è una bella platea, avviene la magia del teatro. Per quanto riguarda il cinema, intanto, è impossibile costruire a tavolino un film di successo. Se anche uno lo pianifica e ci riesce, comunque rimane sempre un caso. E questa è la grande magia del cinema. Le sale si sono evolute dal punto di vista tecnologico e devono continuare a farlo. Poi ci sono gli ultimi dati, che dicono che il cinema è diventato un terreno di libertà. I film che hanno funzionato nell’ultimo periodo sono prevalentemente pellicole d'autore, il cui successo mancava da un po’ in sala. Ci saranno sempre i film di intrattenimento ma anche in quei casi, solo le opere ben fatte fanno la differenza dal punto di vista del successo. Resta comunque un dato interessante, il fatto, cioè, che film come quello di Wim Wenders, di Paola Cortellesi, di Matteo Garrone abbiano avuto successo in sala e altri, invece, che uno identifica come film da piattaforma, in realtà in sala fanno molto più fatica. Dunque, il cinema ricomincia a essere un grande terreno di libertà narrativa, di autorialità.
Per concludere, qual è il suo rapporto con la tecnologia?
La uso, ma non sono uno smanettone, i social li frequento ma non posto ogni giorno. È una roba che ti assorbe, guardi, scrolli e questo mi dispiace, devo impormi di non farlo. Per il resto la tecnologia la uso, anche perché ha reso la vita più semplice, soprattutto di chi come me si muove molto. Penso a una videochiamata con i bambini, con mia moglie, quando sono lontano da casa. Con le applicazioni veramente fai tutto in un attimo. La trovo una comodità.
Cosa bolle in pentola per il futuro?
Il prossimo progetto riguarda un film di Cristina Comencini, “Il treno dei bambini”, tratto da un libro che parla di una storia che ignoravo, riguardante dei bambini che da Napoli sono stati affidati a delle famiglie in Emilia-Romagna, dove le condizioni di vita permettevano di crescerli in modo dignitoso, invece nella Napoli di quel momento, nel Dopoguerra, non era possibile. Poi ho fatto una partecipazione a “The Bad Guy 2”, su Prime. Ho prestato la voce in “Cattivissimo me 4”, un’esperienza molto divertente.