Focus: Guglielmo Marconi

Da Elettra a Gaia Blu, l’eccellenza delle navi laboratorio

Elettra e Gaia blu
di Marina Landolfi

Gli esperimenti che Guglielmo Marconi condusse sulla nave di ricerca Elettra, e che hanno portato all’attuale sistema del wireless, sono legati da un sottile fil rouge all’oceanografica Gaia Blu, il centro tecnologico e scientifico per l’esplorazione delle profondità marine del Cnr. Attraverso gli strumenti di precisione di cui è dotata, si possono approfondire vari temi, dai fondali alla contaminazione degli inquinanti nei mari. Ne abbiamo parlato con Marzia Rovere dell’Istituto di scienze marine del Cnr e capo missione

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Circa un secolo fa, sulla nave Elettra, Guglielmo Marconi realizzò la sua ricerca tecnico-scientifica attraverso esperimenti sulla telegrafia senza fili, chiamata allora radiotelegrafia, che hanno aperto la strada alla moderna evoluzione del wireless. Costruito nel 1904 in Inghilterra, dopo una serie di passaggi di proprietà, nel 1921 questo panfilo a vapore di quasi 70 metri fu acquistato da Marconi che, prendendo spunto dalla mitologia greca, lo chiamò Elettra come la figlia di Agamennone e Clitemnesta, famosa per tenacia e coraggio, e l’attrezzò per essere un centro di ricerca sulle onde elettro-magnetiche. La nave era dotata delle più moderne tecnologie del periodo: stazioni radiotelegrafiche per trasmettere e ricevere messaggi a distanze sempre maggiori; antenne per comunicazioni con ogni meteo; generatori di corrente per alimentare tutti i sistemi elettrici di bordo. “A bordo dell’Elettra, Marconi progettò e sperimentò una serie di tecnologie come i radiofari rotanti e il radiogoniometro, capaci di fornire il posizionamento preciso della nave in ogni momento”, spiega Marzia Rovere dell’Istituto di scienze marine (Ismar) del Cnr. “Inoltre, sperimentò i primi sistemi radar che rendono possibile conoscere la distribuzione delle navi in un certo tratto di mare. Lavorò alla messa a punto di un prototipo di ecoscandaglio per misurare la distanza tra la chiglia della nave e il fondale marino, così da conoscerne la profondità (batimetria)”. La misura della batimetria per molti secoli fu effettuata con il filo a piombo. “Nel 1700 Luigi Ferdinando Marsili, grazie a questa tecnica, scoprì la morfologia tipica di un margine continentale”, precisa la studiosa. “A partire dal 1850, un grosso impulso allo studio della morfologia dei fondali venne dato dalla necessità di individuare i migliori percorsi per la posa dei cavi telegrafici. Cavi che ancora oggi percorrono in lungo e in largo gli oceani per le telecomunicazioni”.

Nel 1913 fu brevettato il primo ecoscandaglio acustico, un dispositivo in grado di misurare la batimetria grazie alla trasmissione di onde sonore nella colonna d’acqua e la loro riflessione dal fondo. “Questi strumenti acustici, montati a chiglia della nave, consentirono, a partire dal 1930, la creazione di mappe batimetriche sempre più accurate, e anche Marconi partecipò a questa corsa tecnologica. Ma con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, l’esigenza di tracciare i sommergibili diede impulso all’invenzione dei sistemi sonar, che consistono in un trasmettitore di impulsi sonori e in un ricevitore dei segnali di ritorno dal fondo (echi)”, aggiunge la ricercatrice. “La posizione relativa di un oggetto sott’acqua può essere definita conoscendo il suo angolo rispetto alla rotta di navigazione e la sua distanza, calcolata moltiplicando il tempo trascorso tra emissione dell’impulso e ricezione dell’eco per la velocità di propagazione del suono in acqua”.

I primi dispositivi a essere inventati furono i Side Scan Sonar, che emettono impulsi a fascio singolo. “Questi segnali formano un’immagine quasi fotografica di vaste porzioni del fondale, identificando anche piccoli oggetti, tra cui ordigni bellici, cavi e condotte sottomarine”, evidenzia Rovere. “Il loro limite è che non possono determinare direttamente la profondità degli oggetti; a partire dal dopoguerra venne inventato il Sonar Multibeam, in grado di emettere più fasci acustici contemporaneamente. Inizialmente utilizzati per la ricerca dei relitti militari, il loro uso presto si diffuse tra i centri di ricerca marina; oggi i Multibeam rappresentano la dotazione essenziale per la mappatura dell’oceano”.

Oceanografica del Cnr, Gaia Blu

Anche la nave oceanografica da ricerca del Cnr, Gaia Blu, lunga 84 metri per 2000 tonnellate di stazza, è dotata di questa strumentazione e può indagare tutte le profondità oceaniche, dal sotto costa, al limite della sua profondità di pescaggio (5 m), alle migliaia di metri del largo. L’efficacia dei sistemi sonar Multibeam è funzione delle frequenze di trasmissione utilizzate. Le onde a bassa frequenza (30-100 kHz) viaggiano più lontano e raggiungono le profondità abissali mentre le frequenze più alte (> 200 kHz) vengono assorbite prima e si fermano alla piattaforma continentale, ma per contro restituiscono maggiore dettaglio, con risoluzioni spaziali anche centimetriche” chiarisce la ricercatrice. “Le misure di batimetria sono fondamentali per comprendere tra l’altro l'origine e il significato delle morfologie del fondo legate alle correnti e al cambiamento climatico, per individuare le pericolosità geologiche, come faglie e frane sottomarine, per modellare la propagazione delle onde tsunami, per classificare gli habitat bentonici, per mappare le risorse minerarie, garantire la sicurezza della navigazione”, evidenzia la ricercatrice.

In un certo senso la nave Gaia Blu ha diverse analogie con l’Elettra, come per esempio il fatto di aver subito anch’essa una trasformazione. Da panfilo per ospitare un gruppo di scienziati e artisti dediti all’esplorazione degli oceani, così come era stato pensato dal precedente proprietario, lo Schmidt Ocean Institute, a vero e proprio laboratorio scientifico. “A bordo della Gaia Blu, così come era per l‘Elettra, una ventina di ricercatori rappresentanti di diverse discipline lavorano giorno e notte ai loro esperimenti, provano nuovi strumenti ed effettuano misurazioni oceaniche. Benché la connessione via internet sia oggi molto più diffusa, grazie alla tecnologia satellitare, l’isolamento e la concentrazione che tanto cercava Marconi a bordo dell’Elettra è possibile anche a bordo della Gaia Blu. L’allestimento e la trasformazione della Gaia Blu continuerà nei prossimi anni, in un processo di continuo miglioramento e adattamento alle sempre crescenti esigenze di interdisciplinarità e nuove tecnologie per indagare le profondità oceaniche”, conclude Rovere.

Fonte: Marzia Rovere, Istituto di scienze  marine, marzia.rovere@bo.ismar.cnr.it

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