Fu un buon risultato quello che il duca Alberto ottenne grazie al supporto terapeutico di Logue con il discorso tenuto al Parlamento di Canberra (Australia) nel 1927. Così, nel corso degli anni, tra i due si sviluppò un rapporto di confidenza, un’amicizia per certi versi inusuale, se si pensa a un legame instaurato tra un nobile e una persona comune. Logue si dimostrerà essere una figura importante per quello che siederà sul trono della Gran Bretagna con il nome di Giorgio VI, dopo l’abdicazione del primogenito fratello Edoardo, a tal punto da meritarsi il titolo di membro e poi di commendatore dell’Ordine reale vittoriano. “Il ruolo di Logue fu essenziale nell’affermazione di una figura, quella di Giorgio VI, che fosse in grado di dialogare con i politici e con i propri sudditi, comunicando con autorevolezza e sicurezza, in un momento storico molto delicato per l’Europa, che stava scivolando verso il secondo conflitto mondiale. E in modo particolare per la Gran Bretagna che, dopo aver tentato un compromesso inattuabile con i tedeschi negli anni del premierato di Neville Chamberlain (1937-1940), con Winston Churchill, nel 1940-1941, si ritrovò ad affrontare la Germania nazista di Adolf Hitler, che in quel momento era padrona del continente europeo. Escludendo la seconda fase churchilliana, il re si troverà poi a concludere il suo regno, dopo la vittoria nel conflitto mondiale, appoggiando la linea laburista di Clement Attlee, che in politica estera ravviserà la necessità di decolonizzare, iniziando un processo di conversione del Paese, da potenza mondiale a potenza europea”, prosegue il ricercatore.
Il contributo di Logue consentì al re Giorgio VI di misurarsi con maggiore sicurezza e dimestichezza con quei mezzi di comunicazione di massa che andavano sempre più affermandosi. “Gli anni del suo regno sono quelli in cui si impone la potenza della radio e del cinema, ai quali il potere politico non si dimostrò affatto indifferente. Nonostante avesse dimostrato una certa resistenza iniziale, Giorgio VI fu inevitabilmente costretto a utilizzarli, comprendendo la pervasività e la persuasività di questi strumenti, come avevano fatto i regimi totalitari e lo stesso Churchill, che li sfruttarono anche a fini propagandistici”, conclude Guasco.