Più longevi grazie ai batteri
L’aspettativa di vita è cresciuta e sono più numerose anche le persone che arrivano a 100 anni o che li superano. Per capire il segreto della longevità abbiamo parlato con Marco Severgnini, ricercatore dell’Istituto di tecnologie biomediche del Cnr
Il microbiota intestinale - erroneamente conosciuto fino a poco prima del 2000 come flora intestinale poiché si pensava che i microrganismi intestinali appartenessero al regno vegetale - è da tempo al centro dell’attenzione perché considerato uno degli “ingredienti segreti” della nostra longevità, con tanto di spazi dedicati anche sui rotocalchi radiotelevisivi e nella pubblicità dei vari probiotici e prebiotici in commercio. È composto in prevalenza da batteri buoni per l’uomo, quali i Bifidobatteri e i Lactobacilli, e da batteri cattivi come l’Enterococcus faecalis, capaci di convivere in equilibrio fra loro e l’intestino in una sorta di biodiversità e in una condizione di equilibrio (eubiosi) fondamentale per la salute e quindi per la nostra longevità.
Per capire meglio cosa lo renda così prezioso per la nostra salute, ne abbiamo parlato con Marco Severgnini, ricercatore dell’Istituto di tecnologie biomediche (Itb) del Cnr: “Un nostro studio, risalente al 2016, ha caratterizzato il microbiota in una popolazione di semi-supercentenari (età >105 anni), evidenziandone le peculiarità rispetto a individui adulti, anziani e centenari; tuttavia, è importante specificare che tali caratteristiche erano pre-esistenti nella popolazione studiata, ed erano legate anche a variabili quali la dieta, lo stile di vita e l'esposizione ambientale. Pertanto, non è possibile desumere una causalità diretta tra la presenza di alcuni batteri nel microbiota dei centenari e la loro longevità”.
Lo studio è stato comunque il primo a riportare alcune importanti evidenze, quali la presenza nel microbioma dei super-centenari di batteri caratteristici anche della popolazione giovanile. “Un dato confermato più recentemente da altri studi, quali quello di Pang e collaboratori (Nature Ageing, 2023), su una popolazione di 1.575 individui, in cui, rispetto ad adulti e anziani, i centenari mostravano, ad esempio, un profilo microbico dominato da Bacteroides, una maggiore uniformità nelle specie e una minore presenza di potenziali patogeni", precisa il ricercatore del Cnr-Itb.
Negli ultimi anni lo sguardo si è esteso a una valutazione che includa anche la componente virale presente nell'intestino umano in età avanzata. “Nello studio di Johansen e collaboratori (2023) che ha analizzato il metagenoma di 195 individui originari del Giappone e della Sardegna è stato evidenziato come i centenari possiedano un viroma (insieme dei geni derivanti da virus) più ricco di specie rispetto a giovani adulti o ad anziani”, chiarisce l’esperto. “Sono state studiate le attività ausiliarie codificate da fagi (virus che infettano esclusivamente i batteri), rivelando un arricchimento di geni legati alle vie metaboliche del solfato, attività che possono a loro volta sostenere l'integrità della mucosa e la resistenza ai patogeni”.
Queste indagini presentano però delle criticità. “Uno dei limiti maggiori attuali è l'assenza di studi longitudinali, ossia che vadano a monitorare negli stessi individui la composizione del microbiota con il progredire dell'età e, dunque, anche in persone estremamente longeve. In generale, diversi studi trasversali hanno trovato un aumento del genere Akkermansia in individui anziani e una riduzione relativa di Faecalibacterium, Bacteroidaceae, e Lachnospiraceae. L'ecosistema intestinale degli anziani è caratterizzato da un delicato equilibrio tra batteri associati a stati di salute e altri con azione pro-infiammatoria ed è stato già riportato che individui eccezionalmente longevi mostrano un complesso equilibrio di caratteristiche pro- e antinfiammatorie”, aggiunge Severgnini. “L'effetto di trattamenti con probiotici, prebiotici o entrambi resta ancora da comprendere fino in fondo, in quanto gli studi effettuati finora hanno mostrato un effetto relativo, con variazioni modeste della composizione del microbiota e nella produzione di acidi grassi a corta catena, fondamentali per il mantenimento dell'omeostasi intestinale e per la loro funzione nutritiva delle cellule della mucosa intestinale”.
Contestualmente, anche altri interventi dietetici sembrano influire sul microbiota, e la dieta mediterranea confermerebbe il suo importante ruolo. “Restrizione calorica, supplementazione di ripamicina (antibiotico di origine naturale prodotto da un batterio del suolo), resveratrolo (sostanza prodotta da diverse specie vegetali), in modelli murini, metformina (antidiabetico orale) in organismi modello e nell'uomo, e adesione alla dieta mediterranea negli esseri umani hanno mostrato la capacità di alterare la composizione del microbiota intestinale e di contrastare gli effetti legati all’invecchiamento .Per il futuro, sarà importante determinare se il rimodellamento della comunità microbica in questo contesto sia un semplice effetto transitorio o un mediatore degli effetti positivi sulla salute”, conclude il ricercatore.
Insomma, se curare gli orti e i giardini fa bene all’anima e alla psiche, per allungare le nostre aspettative di vita bisogna curare anche e soprattutto il nostro “orto interno” ovvero il microbiota intestinale.
Fonte: Marco Severgnini, Istituto di tecnologie biomediche, marco.severgnini@cnr.it