Focus: Donne

Alla ricerca di parità tra fiabe e sussidiari

Bambino che legge
di Sandra Fiore

Negli ultimi anni, nel settore dell’istruzione scolastica e nell’editoria didattica sono stati fatti grandi passi avanti nel contrasto del gap di genere. Tuttavia, un’indagine condotta recentemente dall’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr nelle scuole primarie rivela la presenza di un’elevatissima adesione all’idea che esistano ruoli sociali dedicati a uomini e a donne. La decostruzione di questi condizionamenti può partire dalla scuola e dalla formazione specifica del corpo docente, sostiene il responsabile dell’indagine, Antonio Tintori del Cnr-Irpps, con cui abbiamo parlato

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“La mamma sta in cucina”, “il papà guida l’autobus”, “la principessa è salvata dal principe”: troviamo spesso nei libri scolastici o nelle fiabe situazioni che ripropongono una cristallizzazione di ruoli di genere ancora oggi difficili da debellare. Immagini di uomini che lavorano, fate o dolci figure materne che si occupano esclusivamente della cura della famiglia rafforzano alcuni stereotipi che apprendiamo fin dall’infanzia e che vedono la donna relegata a mansioni tradizionali. Inoltre, nella letteratura didattica sono ancora scarsi i riferimenti a poetesse, scienziate, inventrici, pittrici o imprenditrici. Se passiamo alla sfera ludica, notiamo come già nel packaging dei giocattoli - dalla scelta dei colori alle decorazioni - vengono marcate le differenze dei destinatari: stoviglie, utensili domestici per le bambine, gru e macchine per maschietti.

Negli anni ’70, in pieno clima femminista, la scrittrice e insegnante Elena Gianini Belotti, con il libro “Dalla parte delle bambine”, evidenziava l’influenza esercitata nella formazione del ruolo femminile da vari modi di giocare e dalla letteratura. Come è la situazione oggi nel mondo dell’infanzia? “Una recente indagine campionaria condotta dal gruppo di ricerca Mutamenti sociali, valutazione e metodi (Musa) dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Consiglio nazionale delle ricerche su bambine e bambini di scuole primarie ha rintracciato in questa età la presenza di un’elevatissima adesione all’idea che esistano ruoli sociali dedicati a uomini e a donne: medio-alta verso il ruolo stereotipato maschile, 58,6%, e medio-alta verso quello femminile, 52,9%. Ciò significa che chi ha tra 8 e 11 anni ritiene che gli uomini siano più portati per comandare a lavoro, fare il presidente, lo scienziato o il poliziotto, mentre le donne siano più portate per pulire casa, cucinare, fare la spesa e occuparsi dei figli”, spiega Antonio Tintori del Cnr-Irpps, coordinatore dello studio ed esperto di problematiche legate al gender gap. “Tali preconcetti hanno ricadute che tocchiamo con mano nella società: la prima è una forma di auto-esclusione femminile, che spinge le donne a orientarsi per lo più verso una formazione umanistica - ecco perché c’è una loro scarsa presenza nelle discipline Stem -, attività di assistenza e mestieri anche ‘di base’, quali segretarie, maestre, infermiere, casalinghe ecc... La seconda è invece una segregazione verticale subita dalle donne, perché rappresenta tutta quella serie di modi con cui gli uomini ostacolano lo sviluppo delle carriere femminili e quindi l’acquisizione di posizioni apicali”.

Casalinga

L’efficacia di questi stereotipi non sarebbe tale se la loro trasmissione non avvenisse a partire dai primissimi anni di vita. “Nell’ambiente familiare, che costituisce il principale luogo di riproduzione delle disuguaglianze sociali, lo schema dei ruoli viene appreso per imitazione. Si assiste da bambini alla rappresentazione di ‘forme sociali primarie’, a schemi cronicizzati e largamente invisibili che diventano routine di pensiero, si oggettivizzano e poi, nel corso della crescita, trovano conferma o negazione nel mondo esteriore. La sottovalutata dicotomia rosa/celeste, l’incapacità di acquisire nel linguaggio comune anche la sola declinazione al femminile delle professioni, i giochi da maschi e i giochi da femmine e così gli sport bipartiti, non fanno altro che rimarcare certe immagini”, aggiunge il ricercatore.

Internet, i social media, la tv, spesso sono degli amplificatori di tali stereotipi che dovrebbero essere oggetto di maggiore riflessione nella scuola. “Negli ultimi anni, nel settore dell’istruzione sono stati fatti grandi passi avanti nel contrasto del gap di genere. Vorrei ricordare le recenti linee guida per promuovere la parità nei libri di Zanichelli e, ancor prima, il codice Polite con cui l’Associazione italiana editori ha fissato norme di autoregolazione per le pari opportunità nei libri di testo”, conclude Tintori. “Tuttavia, il problema persiste, come abbiamo visto dai dati. La scuola può essere il primo antidoto alle asimmetrie di genere, ma dovrebbe mettere in atto un serio processo di decostruzione di tali condizionamenti sociali, percorso che necessita di una formazione specifica da parte del corpo docente”.

Fonte: Antonio Tintori, Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, antonio.tintori@cnr.it