Focus: Marco Polo

Il patrimonio culturale del Dragone

Giovani turisti scattano dei selfie nel villaggio di Hongcun, Anhui, il primo villaggio cinese ad essere iscritto nel Patrimonio Mondiale dall’UNESCO (Foto A. Pola 2017)
di Sandra Fiore

Negli ultimi anni la Cina ha rafforzato gli investimenti per la conservazione dei monumenti e dei villaggi agrari e, più in generale, per la valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale.  La cultura è intesa come strumento diplomatico e di coesione sociale, fattore di richiamo globale verso un Paese che intende accrescere la propria sfera di influenza anche in questo settore. L’Istituto di scienze del patrimonio culturale del Cnr è 'presente' in Cina grazie ad accordi di collaborazione da cui sono scaturiti progetti di ricerca dedicati alla salvaguardia di beni architettonici e centri storici

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Architetture, templi, villaggi, tradizioni e usanze della Cina rimasero fortemente impressi nella mente di Marco Polo nel suo ritorno da questo Paese da cui fu profondamente affascinato. Negli ultimi anni, dopo l’ascesa economica, il governo cinese sta facendo leva proprio sul settore dei beni culturali per presentare all’estero la propria identità, per migliorare i rapporti diplomatici, ma anche per creare una maggiore coesione interna. Pertanto, l'archeologia e il restauro ricevono sempre maggiore attenzione, mentre cresce il numero dei musei e dei visitatori. Sono 57 i siti di questa nazione inclusi nella lista del Patrimonio dell'Umanità - dalla Grande Muraglia alla Città Proibita di Pechino, dai giardini classici di Suzhou alla statua del Buddha gigante di Leshan – 61 sono invece le candidature per nuove iscrizioni. “Pechino vuole una stabile presenza nell’Unesco con investimenti destinati alla realizzazione di infrastrutture ed eventi per soddisfare le necessità culturali di una popolazione sempre più benestante, per attirare turisti, studenti e imprenditori stranieri, rafforzando il proprio soft-power come super-potenza culturale. Lo stesso Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare e segretario del Partito comunista cinese, menziona spesso nei propri discorsi il valore del Paese nella storia e nell’archeologia”, si legge su Chinafiles, giornale che offre uno sguardo sulla realtà di questo Paese.

La costruzione di nuove infrastrutture nei villaggi tibetani del Danba, Sichuan (foto A. Pola,  2019)

La costruzione di nuove infrastrutture nei villaggi tibetani del Danba, Sichuan (foto A. Pola,  2019)

 Il Consiglio nazionale delle ricerche, attraverso l’Istituto di scienze del patrimonio culturale (Ispc), dai primi anni 2000 ha instaurato collaborazioni con Istituti cinesi per programmi di ricerca e formazione. La ricercatrice Heleni Porfyriou con una prima opportunità di contratto fellowship presso l’Accademia cinese di scienze sociali (Cass) nel 2005 ha fatto da “sponda” per una serie di rapporti di cooperazione. “Questi si sono consolidati a partire dal 2014, grazie all’accordo bilaterale con l’Accademia cinese dei beni culturali (Cach)”, spiega Porfyriou. “I risultati dei progetti congiunti di ricerca comprendono una serie di volumi pubblicati dal Cnr, i cui argomenti, con contributi di molti ricercatori, vanno dalle politiche del patrimonio agli strumenti di tutela, dalla  gestione dei siti archeologici agli itinerari culturali e alla conservazione dell’architettura in terra cruda. Dal 2015 il Cnr-Ispc collabora con l’Unesco-Whitrap - Istituto di formazione e ricerca sul patrimonio mondiale per la regione Asia e Pacifico, sotto l’egida dell’Unesco di Shanghai”.  Inoltre, grazie all'accordo siglato nel 2019 con l’Università di Xiamen, lo sguardo dei ricercatori si è “posato” sulla Via della Seta, per agire sulla conservazione e la valorizzazione degli insediamenti urbani e rurali, come i villaggi di Tulou, con le colossali abitazioni-fortezza realizzate in terra cruda, e alcuni quartieri storici nel centro di Xiamen. “Oggi l’esperienza nella tutela del patrimonio è un prezioso biglietto da visita che la Repubblica Popolare spende in molti paesi in via di sviluppo, dove si presenta come potenziale controparte agli aiuti occidentali, senza lo stigma di ex-potenza coloniale”, aggiunge Anna Paola Pola, giovane ricercatrice del Cnr-Ispc, che ha lavorato per 7 anni a Shanghai con un progetto di ricerca sui villaggi rurali. Ora invece i suoi studi sono indirizzati ad analizzare l’impatto, sia all’interno della nazione sia sulla scena globale, del programma cinese di recupero di territori e di valorizzazione dell’identità culturale.

“Alle soglie del XXI secolo, il governo non poteva più ignorare il crescente divario economico tra aree rurali e urbane, dal momento che le diseguaglianze economiche possono minare la stabilità sociale; pertanto, negli ultimi 10 anni, è stata realizzata una progressiva ristrutturazione spaziale, sociale e politica mirata a sviluppare le zone agresti. Questa marcia forzata di urbanizzazione si è però combinata con un'altra tendenza, apparentemente opposta, basata su una vigorosa attività di recupero e reinterpretazione del patrimonio di tali villaggi e piccoli centri. Sono state varate inedite politiche di tutela in tale direzione, trasformando l’idea stessa di patrimonio all’interno della nazione. Oggi sono migliaia i villaggi storici ufficialmente riconosciuti su scala nazionale, mentre ben 30 villaggi cinesi sono inclusi tra i beni dichiarati patrimonio mondiale dall’Unesco”, conclude Pola. “A questi si aggiunge il più alto numero al mondo di sistemi rurali Giahs (Globally Important Agricultural Heritage Systems) promossi dalla Fao. La narrazione delle radici rurali della civiltà cinese ha agito anche per promuovere il turismo e, di conseguenza, per la messa in opera di infrastrutture nelle aree più isolate, una strategia utile ad affermare l'identità nazionale e la continuità storica-culturale della Cina all’interno della società mondiale”.

Fonte: Heleni Porfyriou, Istituto di scienze del patrimonio culturale,  heleni.porfyriou@cnr.it; Anna Paola Pola, Istituto di scienze del patrimonio culturale, annapaola.pola@cnr.it

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