Siamo gli ultimi grandi esploratori... dello spazio
Amalia Ercoli Finzi è la prima donna a laurearsi in ingegneria aereonautica nel 1962, è stata consulente della Nasa e dell'Agenzia Spaziale Europea, docente di meccanica orbitale e direttrice del Dipartimento di ingegneria aerospaziale al Politecnico di Milano. È a tutti gli effetti testimone e protagonista della nascita dell’era spaziale: “Dico sempre che noi siamo gli ultimi grandi esploratori. Una volta c'erano gli inglesi che andavano a cercare le sorgenti del Nilo bianco, adesso invece ci siamo noi che andiamo sulla Luna e su Marte”
La storia accademica di Amalia Ercoli Finzi va di pari passo con la nascita e l'evoluzione dell’era spaziale. È la prima donna a laurearsi in ingegneria aeronautica (all’epoca l’ingegneria aerospaziale non esisteva ancora). Questo avvenne solo un anno dopo il volo storico di Jurij Gagarin, primo uomo nello spazio, del 12 aprile 1961. Nel corso della sua carriera, ha svolto ruoli di consulenza presso la NASA e l'Agenzia spaziale europea ed è stata docente di meccanica orbitale e direttrice del Dipartimento di ingegneria aerospaziale al Politecnico di Milano.
Lei è testimone della nascita dell'"era spaziale", ci racconta di quegli anni?
Mi sono iscritta all’Università nel 1956, un anno prima del lancio dello Sputnik e mi sono laureata in ingegneria aeronautica che, all'epoca, era una disciplina tra le più avanzate. Gli aeroplani sono difficili da costruire e soprattutto hanno bisogno di soluzioni sempre più all'avanguardia. Il lancio dello Sputnik avvenne il 4 ottobre 1957 e decretò la nascita dell’era spaziale, che fu una vera e propria “esplosione”. Solo un mese dopo, infatti, fu mandata nello spazio la cagnolina Laika e appena 4 anni dopo Jurij Gagarin divenne il primo uomo ad andare nello spazio. Parallelamente, partiva il programma spaziale statunitense col progetto Mercury fino ad arrivare alle missioni Apollo e al primo uomo sulla Luna nel 1969. Io cominciai con gli aeroplani e fu per pura combinazione che mi fu affidato il corso di meccanica aerospaziale. Capitò, infatti, che si liberò una nuova posizione al Politecnico di Milano perché un collega andava in pensione. Questa posizione era contesa tra il Dipartimento di matematica e quello di aeronautica. Visto che non si arrivava a una decisione, fu il direttore di allora a prenderla, affidando a me il corso. All’epoca però di spazio non si faceva ancora nulla e questo mi spaventava un po’. Il nome del corso fu poi cambiato in meccanica orbitale a cui ho dedicato la mia vita. Non sono nata "spaziale" perché, quando mi sono iscritta all’Università, non esistevano corsi legati allo spazio, ma una volta iniziato, non me ne sono più staccata.
Rispetto alle aspettative che si avevano al tempo dello Sputnik, le attuali conquiste della ricerca spaziale sono in ritardo o siamo andati oltre?
Siamo rimasti indietro, almeno nell'ambito dell'esplorazione planetaria. L'entusiasmo che ha culminato nel programma Apollo faceva sperare in un progresso simile nei decenni successivi. In particolare, Wernher von Braun era convinto che saremmo arrivati su Marte in pochi anni, ma poi si è verificato un notevole arresto. Secondo me, ciò è dovuto in parte al fatto che le persone si sono abituate rapidamente alle applicazioni e agli impatti delle esplorazioni spaziali nella vita quotidiana, come il posizionamento, la navigazione e il Gps, le previsioni del tempo e l'osservazione della Terra. Dal momento che queste applicazioni hanno dato risultati eccezionali e hanno avuto ritorni positivi, l'opinione pubblica si è disinteressata, dicendo "stiamo già bene così", e i politici hanno seguito questa tendenza. Recentemente sembrava che l'interesse potesse risorgere con la missione Luna 25, parte del programma di esplorazione lunare russo, ma purtroppo è andata male per una sciocchezza. Gli Stati Uniti, d'altro canto, hanno completamente tagliato i fondi, sostenendo che non c'era un adeguato apprezzamento da parte dell'opinione pubblica per gli sforzi spaziali. Penso che sia stato un grande errore perché, quando si interrompe, non si tratta solo della mancanza di fondi per continuare, ma anche della perdita di interesse delle persone, della dispersione dei ricercatori e del difficile ritorno al punto di partenza.
È stata docente e direttrice di Dipartimento al Politecnico di Milano. Quali difficoltà ha dovuto affrontare in un ambiente accademico prevalentemente maschile?
Ho affrontato così tante difficoltà che mi chiedo spesso come ho fatto a resistere. In quegli anni, l'ambiente spaziale era prevalentemente maschile. Tuttavia, lavorando molto all'estero, ho notato che le difficoltà diminuivano poiché si veniva valutati esclusivamente in base alle proprie capacità. Si lavorava tantissimo in cooperazione, quindi, era tutto il gruppo ad andare avanti. Con gli studenti, fortunatamente, non ho mai avuto problemi, fatta eccezione per un caso isolato tra i tantissimi che ho seguito. Le difficoltà maggiori le ho avute durante il mio periodo come direttrice di Dipartimento. Era difficile ottenere il riconoscimento dell'autorità di una donna. Le proposte che avanzavo per la gestione del Dipartimento, che alla fine hanno portato risultati significativi, venivano regolarmente respinte. Ero stata eletta non tanto dai colleghi quanto dai tecnici e dalle segretarie che invece mi apprezzavano. Nel consiglio di Dipartimento, i colleghi rispondevano sempre negativamente alle mie proposte, mentre le stesse idee venivano approvate pochi mesi dopo se avanzate da un collega uomo. È importante però sottolineare che il Politecnico era - ed è - una fucina di idee e che ho potuto sempre contare sull'aiuto prezioso di altri colleghi e colleghe. Alla fine, ce l'ho fatta. Perciò, alle giovani donne che entrano nel mondo del lavoro, consiglio di resistere e di fare affidamento sulla propria preparazione e capacità. Come diceva mia nonna: “Se subisco ingiustizie, che si sappia!”. Rendere pubblica l'ingiustizia subita può diventare nel tempo un'arma per il successo e le donne hanno tutte le carte in regola per farcela.
La sua carriera è ricca di collaborazioni e progetti importanti. Tra questi, la missione spaziale Rosetta. Qual è stato il momento più emozionante e significativo di questa missione?
L'intera esperienza è stata emozionante fin dal principio. Inizialmente era programmata per i primi mesi del 2003, ma il lancio è stato improvvisamente posticipato di un anno a causa di decisioni sulla scelta del lanciatore. Questo ritardo è stato causato anche da un problema tecnico, risolto grazie a una modifica apportata da una mia allieva, che ci ha permesso, il 4 marzo 2004, di partire con una spinta superiore, garantendoci un lancio perfetto che ha facilitato il completamento della missione durata oltre 10 anni nel sistema solare. Durante l'atterraggio sulla cometa, sapevamo che avremmo potuto affrontare problemi con gli arpioni, basandoci su precedenti esperienze in un esperimento a Terra. Di conseguenza, abbiamo deciso di abbandonare l'uso degli arpioni e di optare per quello che chiamiamo "salto". È stato un momento memorabile, con il lander che ha effettuato un balzo di oltre 2 ore, portandosi in una posizione oscura, perciò non sapevamo più dove era andato a finire. In quel frangente, abbiamo dovuto prendere una decisione cruciale riguardo all'energia disponibile. Avevamo due opzioni: utilizzare la batteria primaria per garantire 62 ore di funzionamento o attivare i pannelli solari, di cui ero responsabile. Tuttavia, essendo in un'area oscura, i pannelli solari non potevano essere attivati. Abbiamo quindi utilizzato la batteria, consapevoli di avere solo 62 ore a disposizione per completare l’operazione. Per l’atterraggio, decidemmo di attivare il trapano pur in assenza di informazioni sulla posizione esatta del lander. I dati relativi al suo movimento sono giunti solo pochi minuti prima dell'esaurirsi della batteria primaria, mi creda in quel momento mi sono messa a piangere perché è stata un'emozione enorme. Eravamo sulla cometa e avevamo compiuto ciò che sembrava impossibile. Quasi alla fine della missione, 28 giorni prima del termine previsto nel settembre 2016, abbiamo ritrovato il nostro lander. Guardando le fotografie, ho individuato la testa del mio strumento appoggiato sulla cometa. Un momento che ha sottolineato il successo e la conclusione soddisfacente di una missione straordinaria.
Quali sono state le sfide tecniche e i risultati ottenuti con la progettazione della Stazione spaziale internazionale?
La costruzione della Stazione spaziale internazionale è iniziata nel 1998, cioè quarant'anni dopo il lancio dello Sputnik. Io dico sempre che poteva anche essere fatta di carta velina perché, nello spazio, gli oggetti orbitano in caduta libera e non c'è resistenza dovuta alla massa. Ma la massa serviva a dare rigidezza alla Stazione, che è un sistema complesso formato da tanti moduli, tante antenne che devono mantenere l’orientamento, tanti pannelli solari che devono puntare verso il sole e tanti radiatori che, viceversa, devono sempre guardare il buio. Il problema stava quindi nell’ottenere una rigidezza non dovuta alla massa ma alla proprietà dei materiali. Per individuare quelli più adatti, abbiamo effettivamente messo in piedi un bel laboratorio che ci ha permesso di valutare e studiare approfonditamente questo tipo di problemi che alla fine abbiamo risolto, difatti, la Stazione spaziale ha funzionato benissimo e, secondo me, continuerà a funzionare benissimo fino a quando arriverà il momento del rientro in atmosfera.
Cosa pensa del turismo spaziale?
Ne penso benissimo. Trovo che tutte le applicazioni legate allo spazio, compreso il turismo spaziale, ma penso ai satelliti o a internet e tante altre, contribuiscano a rendere più numerosa e consistente l'attività spaziale. Quando programmiamo una grande missione come, ad esempio, andare sulla Luna o su Marte, abbiamo bisogno di avere la partecipazione e il coinvolgimento anche dell’opinione pubblica. È chiaro che il turismo spaziale, prima di diventare alla portata di tutti dovrà passare molto tempo, però sono assolutamente d'accordo. La cosa che invece non condivido è l'intervento dei privati, per ricchi e potenti che siano, sulle politiche spaziali che, invece, devono essere frutto di un accordo fra i tantissimi paesi che si occupano di spazio e quindi competenza delle agenzie. L'attività spaziale è un'attività molto importante per l'umanità, non solo dal punto di vista della tecnologia e delle scelte, ma soprattutto dal punto di vista dei sogni. Dico sempre che noi siamo gli ultimi grandi esploratori. Una volta c'erano gli esploratori inglesi che andavano a cercare le sorgenti del Nilo bianco, adesso ci siamo noi che andiamo sulla Luna e su Marte.
Anche in questa stagione, è ospite fisso di “Splendida cornice”. Ci racconta di questa sua esperienza televisiva?
Una bellissima esperienza. Trovo molto positivo proporre cultura in prima serata, specialmente considerando che di solito viene relegata alle ore notturne. Geppi Cucciari, oltre alle sue doti di brava conduttrice, è molto colta e preparata e questo traspare e contribuisce al successo della trasmissione. Tutte le volte che si fa della cultura per me va benissimo.
A cosa pensa una ingegnera spaziale con la sua esperienza quando alza gli occhi al cielo notturno?
Una meraviglia. Ho anche la fortuna di avere una casa da dove si può guardare il cielo senza troppo inquinamento luminoso. L’osservazione delle stelle ci dà ispirazione. Sono vive e se si impara ad “ascoltarle”, ti raccontano di un mondo, di uno spazio e di una universalità che va al di là dei tuoi piccoli problemi di tutti i giorni. Guardando le stelle, in realtà, ci si rende conto di due cose in particolare: la prima è la nostra piccolezza, perché siamo niente in confronto all’Universo; la seconda è la consapevolezza delle nostre capacità e della nostra intelligenza, che ci hanno permesso di fare cose che erano impensabili in passato come le missioni spaziali. E che ci permetteranno in futuro, ne sono certa, di arrivare su Marte.