Cinescienza: Facciamo il punto

Punti di svista

Primo piano di uno dei protagonisti del film, il bandito Tajomaru (interpretato da Toshiro Mifune)
di Danilo Santelli

È possibile che più persone assistano a un evento e che sullo stesso forniscano testimonianze del tutto diverse tra loro. È quanto raccontato nel film “Rashomon” di Akira Kurosawa, ma è anche la rappresentazione di una condizione che esiste nella realtà e che prende il nome proprio dalla pellicola diretta dal regista giapponese nel 1950. A spiegare cosa sia l’“effetto Rashomon” è Flavia Marino dell’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica del Cnr

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Quattro opposte deposizioni, in una sorta di processo sull’omicidio di un samurai avvenuto in un bosco, disorientano e confondono lo spettatore del film “Rashomon” (1950) a tal punto da non essere in grado di farsi un’idea inequivocabile su chi possa essere stato l’assassino e quale il movente. L’anima del samurai defunto, sua moglie, un bandito e un boscaiolo: la trama disegnata da Akira Kurosawa, ispirata a racconti giapponesi, valse al cineasta un Leone d’oro come miglior film al Festival del cinema di Venezia e l’Oscar come miglior film straniero, e fu d’ispirazione per altre pellicole e remake, non solo in ambito cinematografico.

“L’effetto Rashomon è un concetto psicologico desunto dal capolavoro di Kurosawa, che si manifesta quando più persone forniscono rappresentazioni contrastanti di uno stesso episodio, esponendo i fatti in una forma soggettiva che viene distorta dalla percezione personale”, rileva Flavia Marino, psicoterapeuta dell’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica (Irib) del Cnr. “Nella pellicola, questo effetto viene brillantemente tratteggiato attraverso quattro testimonianze di un omicidio, che danno vita a quattro versioni narrate da differenti angolazioni. Dal punto di vista della psicologia, questi comportamenti evidenziano la parzialità della percezione umana e la natura sfuggente e fallace della verità assoluta. Ogni individuo filtra la realtà attraverso l’insieme dei propri pregiudizi, delle esperienze e delle emozioni, ma in casi come questi ciò può comportare narrazioni del medesimo evento che sono fortemente plasmate dalla soggettività”.

Locandina del film Rashomon

È d’interesse notare come gli effetti che il tempo determina sulla memoria e, quindi, sull’attendibilità e la veridicità di una testimonianza possano avere notevoli implicazioni, anche quando un individuo agisce in buona fede. “La memoria umana è soggetta a distorsioni e reinterpretazioni dovute anche al trascorrere del tempo, poiché subisce l’effetto delle emozioni che sono condizionate dalle aspettative personali e dalle influenze esterne. Nel film notiamo come ciascuna testimonianza dei protagonisti potrebbe essere considerata la rappresentazione autentica del punto di vista del soggetto, anche se nessuna di queste può essere accettata come unico e incontestabile resoconto degli eventi. L’effetto Rashomon richiama l’attenzione sull’importanza di riconoscere la complessità della verità oggettiva, tenendo in considerazione l’effetto delle proiezioni individuali nella rappresentazione della realtà”, conclude la ricercatrice del Cnr-Irib. “Per quanto riguarda l’ambito psicologico, questo implica la necessità di una valutazione critica delle testimonianze, riconoscendo che la verità può essere multiforme e la comprensione completa di un evento passa necessariamente per l’esame di differenti punti di vista”.

In conclusione, possiamo dire che questo effetto mette in discussione la natura stessa della realtà e della verità, stimolando una riflessione profonda sulle molteplici sfaccettature della psiche umana e sulla complessa articolazione delle interazioni sociali.

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