Saggi

La storia della storia in edicola

copertina storia edicola
di M. F.

Una modalità di divulgazione che ha molto successo quando è interpretata da giornalisti o “public historians”, mentre ha minore riscontro quando a scrivere e parlare sono i classici “professori”. I chioschi di giornali hanno subito una drastica riduzione, eppure si contano molte testate del genere. È il fascino di chi sa “parlare al lettore non da una cattedra ma da una vecchia e buona poltrona di casa sua”

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“La storia in edicola” di Francesco Mineccia ha il merito di focalizzare una modalità di comunicazione che non si esaurisce, come oggi talvolta sembra, alla semplificazione delle scienze naturali e dure, quella che passa per i documentari naturalistici, la fisica popolarizzata dei social e la sensibilizzazione ambientale. Divulgare la storia e le discipline umanistiche è infatti altrettanto complesso, poiché richiede un difficile abbinamento di capacità mediatiche e competenze corrette. Il saggio al riguardo, addita il paradosso per cui la divulgazione storica conosce successo quando è interpretata da giornalisti appassionati, Indro Montanelli e i suoi milioni di copie sono l’esempio principale, oppure da più rari esempi di “public historians”, accademici versati per la trasmissione della conoscenza al grande pubblico, mentre si riduce ai minimi termini di riscontro quando a scrivere e parlare sono i classici “professori”. Quegli studiosi che, almeno fino a pochissimo tempo fa, denunciavano scarsa familiarità e ritrosia a utilizzare quelle fonti non tradizionali - fotografia, cinema, contenuti orali, memorialistica - che, per citare Gianni Isola, “costituiscono invece i cardini di ogni operazione di moderna editoria popolare”.

Questo determina che anche nella divulgazione storica si compiano spesso operazioni ermeneutiche considerate dalla storiografia ufficiale come improprie, azzardate, quando non addirittura manipolatorie. In particolare, Mineccia lamenta l’eccesso di “revisionismo” adottato da molti autori e curatori di dispense e prodotti multimediali diffusi in edicola, si pensi solo a Giorgio Pisanò, un po’ come nel dibattito su salute e ambiente si lamenta la presenza di voci dissonanti rispetto all’interpretazione condivisa, spesso in un sostanziale monopolio, dalla maggioranza dei ricercatori. “Grosse imprese editoriali dotate di credenziali scientifiche talora più che dubbie” sono “in grado di esercitare un’influenza da non sottovalutare nella formazione della cultura storica dell’utente medio”, un piccolo e medio borghese con grado di istruzione medio-superiore, “moderato e un po' nostalgico”, osserva l’autore.

Questo è in qualche modo anche il limite del saggio, nel senso che addossare al giornalista che raccoglie grandi numeri la mancanza di correttezza rischia di oscurare la domanda speculare, cioè perché tantai cittadini, lettori e spettatori attribuiscano credito a tesi “alternative”, oppure seguano le cosiddette fake news sui social media. Una domanda culturale e commerciale che il mondo intellettuale dovrebbe porre a se stesso: non per sconfessare il metodo che, solo, può assicurare l’autorevolezza dell’avanzamento di conoscenza, ma per riflettere se questo non appaia agli occhi dei non addetti ai lavori un dogma auto-confermativo. Problema certo non di oggi se già Arnaldo Momigliano, in una lettera a De Sanctis, esternava le sue preoccupazioni circa il “gravissimo distacco” in Italia tra gli storici e il pubblico. In tal senso anche la popolarità ottenuta da uno storico indiscusso come Renzo de Felice è indicativa.

Il secondo merito del saggio è poi sottrarre a una troppo sbrigativa certificazione di decesso l’edicola e la filiera dei prodotti mediali che vi vengono distribuiti. Non per sminuire la crisi dell’editoria tradizionale non sia reale: il calo progressivo delle vendite dei quotidiani, in particolare, è ormai un crollo drammatico. Ma la vivacità adattativa della divulgazione storiografica ha consentito ancora in anni recenti cifre inimmaginabili, anche se sono trascorsi i tempi d’oro che hanno visto protagonisti editori specializzati come De Agostini e Armando Curcio, i loro successori Del Prado, Hobby & Work, Hachette, grandi case come Rizzoli e Mondadori, nomi più politicizzati come Ciarrapico ed Editori Riuniti.

La storia della storia in edicola comincia con quella unitaria, con Emilio Treves, Sonzogno, Salani, grazie anche a collaborazioni di eccellenza tra cui quelle di don Giovanni Bosco, Gustave Doré e Giosuè Carducci; prosegue con Nerbini che nel 1929 pubblica una “Storia d’Italia” di ovvia impostazione nazional-patriottica, che dopo la guerra viene però ristampata a dispense senza alcuna modifica. Sempre nel dopoguerra si ricordano le riviste Storia illustrata, Historia e Focus, i successi di centenari e ricorrenze, altri collaboratori illustri quali Guido Piovene e Mario Soldati, Norberto Bobbio, Claude Lévy-Strauss, Michel Foucault, Jacques Le Goff, Franco Cardini, Giulio Giorello. E poi i vip Montanelli, Giorgio Bocca, Arrigo Petacco, Denis Mack Smith, Enzo Biagi, Vittorio Feltri, Folco Quilici, la Rai con gli Angela, Gianni Minoli e Corrado Augias, la corsa all’allegato compiuta da Repubblica-L’Espresso, Corriere della sera, Sole 24 ore, gruppo editoriale Riffeser Monti, Touring Club Italiano, Gazzetta dello sport, Panorama, Sorrisi e canzoni, etc. Negli anni Novanta la divulgazione in edicola evolve verso gli audiovisivi (VHS, CD-ROM, DVD), fonti principali il Luce e i programmi televisivi (“La macchina del tempo”, “La storia siamo noi”, “La grande storia dell’uomo”), mentre persino Internet si riflette sul cartaceo con “Storia in rete” .

Il focus storico prevalente passa sempre più dall’antichità e dal Risorgimento prediletto durante il Ventennio al netto predominio della storia contemporanea, fascismo e nazismo soprattutto, della storia militare e delle questioni di tipo bellico, tra le quali predomina il secondo conflitto mondiale. “Pare che, dopo Gesù Cristo, Hitler sia il personaggio a cui ogni anno l’editoria mondiale dedica il maggior numero di saggi”, recita un editoriale di BBC History. Ma vanno forte anche i misteri irrisolti, i cosiddetti cold case, dalla strage di Ustica a quella di Bologna, dall’attentato dell’Italicus alla P2, dallo IOR al Michele Sindona, dalla morte di Papa Luciani a Emanuela Orlandi, dal sequestro Moro al delitto Pasolini.

I chioschi di giornali hanno subito una drastica riduzione dagli oltre 36.000 del 2001 ai 15.126 del 2019. Eppure resistono produzioni come il modellismo e, attualmente, si contano sei testate che si occupano di storia e che ne hanno generate altre dieci, più altre 14 specializzate per periodo o tema. Proprio tra fine Novecento e primi anni Duemila si assiste anzi al moltiplicarsi di periodici di storia illustrati nelle edicole. È l’immarcescibile fascino di chi sa “parlare al lettore non da una cattedra ma da una vecchia e buona poltrona di casa sua, in semplicità”.

 

Titolo: La storia in edicola
Categoria: Saggi
Autore: Francesco Mineccia
Editore: Pacini
Pagine: 250
Prezzo: 25,00

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