Saggi

Colonie, monumenti del welfare per l’infanzia

copertina colonie estive
di M. F.

Nel secolo scorso, racconta Stefano Pivato, questi edifici emblematici dello stile modernista vengono realizzati e gestiti: prima dal fascismo, preoccupato dall'assistenza dei figli dei soldati feriti e mutilati nella Grande guerra e degli orfani dei caduti; poi nel dopoguerra, grazie all’assistenza cattolica. I bambini ospitati arrivano al milione mentre, per esempio, in Francia le “colonies de vacances” ne accolgono appena 200.000

Pubblicato il

“Le colonie sono monumenti che attraverso vari piani ci parlano del secolo scorso”, osserva Stefano Pivato in “Andare per colonie estive”. Il primo livello della testimonianza è architettonico: si tratta di edifici tra i più significativi dello stile modernista degli anni Trenta, capaci di mettere in risalto l’effetto scenografico persino più degli aspetti funzionali. Un genere architettonico che include riconosciuti capolavori come Le Navi di Cattolica. Edifici spesso realizzati con una straordinaria velocità, in ossequio a uno dei principi fondanti del fascismo, dovuta anche all’ovvia celerità della concessione dei permessi e dall’assenza di vincoli ostativi. Appena 120 giorni dura la costruzione della Novarese, futuribile sede a forma di nave capace di ospitare mille bambini a partire dall’estate del 1934.

D’altronde, la Grande guerra aveva posto in modo eclatante la questione dell’assistenza ai figli dei soldati: feriti, mutilati e orfani dei caduti in particolare. Il regime aveva intercettato tale esigenza e reso le colonie “i luoghi di quella nazionalizzazione dell’infanzia perseguita dal regime mussoliniano”. I bambini assistiti aumentano dai circa 80.000 nel 1927 ai 772.000 nel 1938, cui vanno aggiunti i 12.190 bambini ospitati (nel 1937) in strutture gestite dalle grandi industrie. Nel 1942 si contano 5.805 insediamenti per 940.615 bambini. Tutto questo mentre, per fare un esempio, nel 1939 nella vicina Francia gli ospiti delle “colonies de vacances” sono appena 200.000.

Nel resto dell’Europa o negli Stati Uniti le strutture di vacanza per i minori, peraltro, venivano erette con criteri di essenzialità, in tendopoli o baracche. In Italia – dove fra il 1926 e il 1928 la gestione passa all’Opera nazionale per la protezione della maternità e l’infanzia (Onmi) coadiuvata dai Fasci femminili e dall’Opera nazionale balilla (Onb), fino a passare nel 1938 sotto il controllo della Gioventù italiana del littorio (Gil) - si assistette invece “a una vera e propria monumentalizzazione del welfare per l’infanzia”, amplificata grazie alla cassa di risonanza dei filmati Luce. Osserva però Pivato che nel dopoguerra, pur “dismessi i cori che inneggiano a Mussolini, la scena è la stessa” e “il cronista della Settimana Incom nulla sembra aver perso dell’enfasi retorica degli anni Trenta”.

Dopo il 1945, il mondo cattolico eredita gran parte di tale ingente patrimonio. É la Pontificia commissione d’assistenza creata nel 1944 dal Vaticano ad assumerne oneri e onori, tanto che alla metà degli anni Cinquanta gli assistiti ammontano a 1.800.000. Un patrimonio conservato fino alla fine dell’esperienza delle colonie, collocabile negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, quando il boom economico migliora il tenore di vita degli italiani e rende il turismo un servizio-bene da consumo di massa. Le “ferie” riuniscono la famiglia e i figli si recano al mare e in montagna assieme ai genitori, relegando progressivamente in soffitta quel soggiorno estivo. Di cui resta nelle case degli italiani la memoria, espressa in “una delle minacce più ricorrenti che i genitori rivolgevano ai figli disubbidienti: Ti mando in colonia!”.

Le colonie sono straordinari contenitori di memorie, del resto. Per molti bambini si tratta del primo allontanamento da casa e famiglia, negli archivi della scrittura popolare restano tracce indelebili. Mentre la stampa di regime esalta “i giocondi sciami di fanciulli e di fanciulle” e “il caffellatte offerto dal Comune”, nel privato l’elaborazione mnemonica dice altro. Enzo Biagi, ospite della Decima Legio di Miramare di Rimini, ricorda “di avere provato uno dei suoi primi traumi infantili durante il viaggio verso la colonia”. Non per nulla, sovente, i ritorni erano molto più allegri delle andate.

Purtroppo, questi edifici sono poi stati preda di una speculazione edilizia senza precedenti. Il “sacco delle colonie” inizia a partire dagli anni Sessanta e oggi, peggio ancora, la maggior parte degli edifici un tempo adibiti a tale scopo è in stato di abbandono. “Le rovine emergono qua e là come reperti di archeologia balneare, nella più totale incuria”, conclude amaro l’autore.

 

Titolo: Andare per  colonie estive
Categoria: Saggi
Autore: Stefano Pivato
Editore: Il Mulino
Pagine: 154
Prezzo: 13,00