Lontani dal cuore
La protagonista di "Gone girl", lungometraggio dell’americano David Fincher, scompare nel nulla. Si sospetta un uxoricidio, ma non è così. Rita D'Amico, autrice di "Amori e infedeltà", prende spunto dal film per illustrare l’allontanamento volontario di una persona dal proprio nucleo familiare
Il film “Gone girl” del regista David Fincher, uscito nel 2014, racconta della relazione tra Amy (Rosamund Pike) e Nick (Ben Affleck), che esplode nel momento in cui la protagonista scompare nel nulla, lasciando dietro di sé una serie di indizi che porteranno il marito a essere indiziato per uxoricidio, pur senza un cadavere e in assenza di prove incontrovertibili. Si scoprirà soltanto nella seconda parte del film che Amy si era allontanata volontariamente dal marito, seminando prove false che potessero incastrarlo, nell’intento di punirlo per averla tradita con una studentessa.
“In alcuni casi ci si allontana da una situazione sociale e familiare perché viene percepita come claustrofobica per una molteplicità di motivi, perché ci sono troppi obblighi o troppe aspettative da parte della famiglia o del partner, o perché la persona sente un crescente bisogno di libertà. In questo senso, l’individuo vive una contrapposizione tra il desiderio di sicurezza che la relazione affettiva garantisce e la necessità di indipendenza e di autonomia, connaturate all’essere umano adulto, ma che si sviluppano già nella adolescenza. In parte è quello che avviene in una breve avventura extraconiugale, la cosiddetta scappatella: cercare altrove la novità che, inevitabilmente, all’interno di una relazione stabile viene meno col passare del tempo”, spiega Rita D’Amico, già ricercatrice dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc) del Cnr e autrice, tra gli altri, del libro “Amori e infedeltà. Triangoli relazionali tra vecchie credenze e nuove realtà”.
La decisione di allontanarsi da un contesto coniugale o familiare può essere ricca di insidie, perché rappresenta un distanziamento dalla zona di comfort che la maggior parte di noi predilige. E potrebbe significare che l’insofferenza è più forte della paura dell’ignoto e dell’incerto. “L’allontanamento rappresenta un distacco dalla dipendenza dal partner o dalla famiglia, dal desiderio di affetto e di sicurezza, dalla necessità di sentirsi supportati. Le persone che fanno una scelta del genere hanno operato una scissione, non riuscendo a far coesistere la propria individualità con l’appartenenza a una coppia. Una sorta di tensione irrisolta. Se in passato la dipendenza, per l’universo femminile, poteva essere determinata anche da fattori economici, visto che molto spesso era soltanto l’uomo a lavorare, oggi la donna è molto più emancipata. Ed è più forte il desiderio di sentirsi liberi, a prescindere dal genere, per un discorso culturale, quasi ideologico: si pensi a quante persone decidono razionalmente di non impegnarsi in una relazione affettiva duratura. Il sociologo polacco Qygmunt Bauman ci ha spiegato, come in questa società moderna, liquida, le relazioni siano fluttuanti, in continuo movimento”, prosegue la studiosa.
Dopo un allontanamento volontario si può decidere di “riavvicinarsi”. “La convenienza economica, la presenza dei figli, il senso di colpa: questi sono i principali fattori che possono determinare il ritorno a casa. Fino a qualche tempo fa, le donne italiane, cresciute con il valore del sacrificio, hanno teso a privilegiare in maggior misura la conservazione e la riparazione del rapporto coniugale e a non danneggiarlo, anche a discapito del benessere personale e della propria individualità”, conclude l’ex ricercatrice del Cnr-Istc.