Faccia a faccia

Italia Rugby, c'è un nuovo capitano

Luca Bigi
di Claudio Barchesi

È Luca Bigi, tallonatore della franchise delle Zebre di Parma. Nato a Reggio Emilia il 19 aprile 1991 (h. 1,81 m p. 105 Kg) gioca a rugby dall'età di 14 anni. Dal gennaio 2020 è lui il nuovo capitano dell'Italia. Succede al mitico n. 8, Sergio Parisse, che ha guidato gli azzurri dal 2008 al 2019

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La nazionale italiana di rugby ha un nuovo capitano. È Luca Bigi, tallonatore delle Zebre di Parma. Nato a Reggio Emilia il 19 aprile 1991, gioca dall'età di 14 anni. Il suo posto è quello al centro della prima linea del pacchetto di mischia, dove si fronteggiano gli avversari e si spinge la palla indietro coi talloni. Le sue dimensioni sono adeguate al ruolo: 1,81 m. di altezza per 105 kg di peso. Prima di arrivare alle Zebre - con le quali partecipa al torneo internazionale Pro14 – Bigi ha giocato con molte delle squadre più blasonate d'Italia: Reggio, Viadana, Petrarca e Benetton. L'esordio in nazionale, con la quale ha all'attivo 27 presenze da capitano, è del giugno 2017, in un match contro la Scozia. Incluso nella rosa dei convocati italiani alla Coppa del mondo 2019 in Giappone, ha disputato tutti e tre gli incontri della rassegna. A gennaio 2020 ha ricevuto dal Commissario tecnico Franco Smith l'investitura di capitano. Succede nel prestigioso ruolo al mitico Sergio Parisse, che guidava gli azzurri dal 2008. Luca Bigi attende come tutti gli sportivi il ritorno in campo. Nell'attesa si allena e passa il tempo con la sua famiglia. Lo intervistiamo mentre è impegnato in un trasloco: “Gli scatoloni sono un bell'allenamento, però sono contento di aver finito”, esordisce scherzosamente.

Partiamo dagli esordi. Come ha iniziato col rugby?

È cominciato tutto alla scuole medie. Due giocatori del Rugby Reggio sono venuti a spiegare a noi ragazzi la bellezza di questo sport e con alcuni compagni - visto anche il mio fisico non adattissimo al calcio – ho iniziato a giocare. Sono rimasto a Reggio fino a 19 anni, poi sono passato al Viadana per il campionato under 20 élite, sono andato in Inghilterra al Richmond, nel 2010 sono tornato a Reggio, poi ancora una stagione al Viadana, una a Padova, quattro a Treviso e da quest'anno gioco con le Zebre di Parma in Pro14.

Lo sport le lascia il tempo per studiare?

Sono diplomato Perito tecnico e corrispondente in lingue estere, giocando al Richmond ho perfezionato il mio inglese. In questa quarantena mi sono avvicinato all'Università online e penso che, prima o poi, mi iscriverò a Scienze motorie per specializzarmi in alimentazione.

Luca Bigi

Dai primi placcaggi a capitano della nazionale. Cosa ha provato alla nomina?

Una grande emozione e l'immediata consapevolezza dell'importanza del ruolo, sia per la squadra che per l'intero rugby, anche in vista del “Sei nazioni” che sarebbe iniziato a breve. Sapevo di avere un ruolo importante in campo, ma è stata comunque una sorpresa fantastica e ho iniziato subito a concentrarmi per dare ancor più il meglio di me.

Il rugby è uno sport adatto a tutti, anche se richiede doti particolari, e di sempre maggior successo, che insegna ai giovani valori non solo sportivi…

A certi livelli e particolarmente in certi ruoli occorre essere fisicamente adeguati, è inutile nascondersi dietro a un dito. Ma il fisico non basta, occorrono disciplina mentale, sacrificio, costanza, preparazione, obiettivi chiari. La mia carriera è stata sempre centrata su questi valori. Il treno passa una volta, se passa, occorre essere pronti.

Nelle grandi competizioni l'Italia Rugby è sempre in difficoltà. Il grande seguito per questo sport ha quindi un valore “morale” ancora maggiore, non crede?

Sono d'accordo. Nonostante le difficoltà contro le grandi squadre, stiamo facendo un grande lavoro e dietro di noi c'è un movimento in crescita: il rugby giovanile, il lavoro delle accademie, la nazionale Under 20 che negli ultimi anni ha offerto prestazioni straordinarie. Il lavoro delle due squadre di Treviso e di Parma, che giocano il campionato europeo Pro14, si vede. Nell'ultimo “Sei nazioni”, nonostante le tre sconfitte, la squadra, riorganizzata in appena sette settimane, è progressivamente cresciuta. Resta l'amaro in bocca per quello che avremmo potuto fare nelle ultime tre partite e nel tour di luglio in America, per arrivare a ottobre e novembre con tre test match importanti. Comunque, la squadra e i giovani sono all'altezza, così come lo staff tecnico, ci serve una scintilla per partire. Le vittorie, come si dice, aiutano a vincere. Non vediamo l'ora di ricominciare a lavorare.

A proposito: tutto lo sport si è fermato per la pandemia. Per voi atleti è stato un danno notevole, come ha usato questo tempo?

Ognuno di noi si è costruito la sua routine quotidiana, in contatto con i preparatori atletici, ai quali si forniscono report dei test fisici. Le Zebre sono tornate ad allenarsi il 19 maggio, a Treviso hanno anticipato di una settimana. Vedere i compagni, correre assieme, parlare è importante. Ci si allenerà senza utilizzare gli spogliatoi, con dispositivi di protezione individuale forniti dalla società. Alla ripresa degli allenamenti saremo divisi in gruppi ma non so quanto tempo passerà prima di poter tornare a giocare assieme con le stesse regole e modalità di prima. Sono comunque contento di ricominciare.

Tecnologia e scienza aiutano il rugby professionistico moderno?

Direi proprio di sì. Si utilizzano apparecchiature biometriche che, attraverso il controllo del sistema respiratorio e cardiocircolatorio, forniscono dati ai preparatori atletici per ottimizzare il programma e la nutrizione degli atleti.

Si discute molto dei casi di contagio nel calcio, com'è la situazione tra i rugbisti?

Il campionato Pro14 a cui partecipiamo è europeo e vi partecipano anche due squadre sudafricane: è un problema non solo sanitario, ma anche logistico. Bisogna considerare i voli, gli hotel… Credo che a breve il board della Pro14 comunicherà delle disposizioni. Intanto abbiamo fatto tutti i testi sierologici. Dopo due mesi di stop agonistico mi aspetto che ne siano necessari altrettanti per riprendere.

È fiducioso nei medici, nei ricercatori che combattono per le cure e per un vaccino?

Gli scienziati stanno lavorando moltissimo e ho massima fiducia in loro. Nel frattempo dobbiamo mantenere le distanze e l'attenzione, ogni cittadino deve rispettare le regole nella quotidianità. Certo, credo che dovremo comunque imparare a convivere con il Coronavirus.

Capitano, un sogno per l'immediato futuro?

La salute di tutta la mia famiglia, la mia compagna Martina, mio figlio Edoardo, i miei genitori. E riconquistare la normalità. Poi, tornare ad allenarmi forte, a giocare con la maglia della nazionale e a puntare dritto verso i nostri obiettivi futuri.

Claudio Barchesi