La mia vita è stata un film comico
Giornalista televisivo poi regista cinematografico, Ugo Gregoretti torna in tv, trasferendo negli sceneggiati l'esperienza di narratore acquisita sul grande schermo. Oggi si racconta nel volume autobiografico 'La storia sono io'. E nell'intervista all'Almanacco della Scienza
Ha firmato la regia di opere liriche e teatrali, trasmissioni televisive, sceneggiati, film d'inchiesta e cinematografici. Maestro della satira di costume e antesignano del multimediale, Ugo Gregoretti fu assunto alla Rai addirittura prima che iniziassero le trasmissioni ufficiali: nella sua lunga carriera è quindi racchiusa buona parte della storia della nostra televisione. Da ricordare i programmi 'Controfagotto', 'Il circolo Pickwick', le serie parodistiche del 'Romanzo popolare italiano' e 'Uova fatali', l'inchiesta 'Sottotraccia' dedicata all'Italia 'minore' e seminascosta. Al cinema firma il film sui giovani 'I nuovi angeli', l'apologo fantascientifico 'Omicron', i due documentari 'Apollon e 'Contratto' e, infine, l'autobiografico 'Maggio musicale'. Nel 2009 riceve il premio giornalistico televisivo 'Ilaria Alpi'. Ora ha raccolto i suoi ricordi in una biografia dal titolo 'La storia sono io', edito da Aliberti. Il libro si apre con un' avvertenza dello stesso autore: "Questo, più che un racconto dal quale si potrebbe ricavare un film, è già un film, scritto con la penna e con gli occhi".
Fra tutte le forme di spettacolo quale sente più sua?
Sicuramente il cinema. Diventare regista del grande schermo è stato da sempre il mio sogno. Nonostante ciò, la mia carriera non è stata ampia né tranquilla: ho iniziato come documentarista televisivo, regista di cinema e di sceneggiati, come 'il Circolo Pickwick'. Dopo un periodo di cinema 'militante', con il film 'Apollon. Una fabbrica occupata', ho iniziato una fortunata e lunga esperienza teatrale, culminata con la Fondazione e la direzione decennale del Festival teatrale di 'Benevento città spettacolo'. La definitiva abilitazione come uomo di teatro arriva alla fine degli anni '80 con l'offerta di dirigere lo stabile di Torino per due mandati. Da qui torno di nuovo a fare cinema, dopo 20 anni di astinenza, con la mia 'opera prima della terza età', interpretata magistralmente da Malcolm McDowell, 'Maggio musicale'. Ma, nonostante l'ammissione concorde sia del pubblico sia della critica di un lavoro ben riuscito, il film non arriva nelle sale. Così mi rimetto a fare televisione: come conduttore di 'Domenica in', insieme a Toto Cutugno e Alba Parietti, e come autore del programma estivo 'Sottotraccia, controfagotto 30 anni dopo', riprendendo uno dei miei primi successi, fino alla regia dello sceneggiato, 'Il conto Montecristo', con l'esordiente Corso Salani. Un adattamento parodistico di Dumas, ambientato nella Tangentopoli. Anche questo non fu quasi mai trasmesso.
I suoi format hanno anticipato alcuni format oggi diffusi a livello giovanile.
Devo molto al mio intuito: sono sempre stato un grande improvvisatore. Il critico e scrittore Luciano Bianciardi mi definì un 'sociologo campale' che la mattina si alza, va in giro per la città, coglie dei particolari e poi li racconta. L'attitudine a raccontare mi viene dalle letture, soprattutto degli scrittori moderni e contemporanei.
Ha dichiarato di non essere stato uno studente modello. In quali materie soprattutto?
Direi piuttosto che sono stato molto abile ad aggirare gli ostacoli accademici. Secondo i comandamenti borghesi di allora dovevo fare obbligatoriamente l'università. Così, vista la passione per la storia dell'arte, ho iniziato a frequentare la facoltà di Architettura. Tutto sembrava andare per il meglio fino quando gli esami non sono diventati particolarmente 'scientifici', con analisi matematica, disegno tecnico, etc. E allora me la sono 'squagliata', con grande disappunto di mio padre. Poi c'è stata la parentesi degli studi giuridici e, infine, di quelli letterari. Ma quando mi sono trovato di fronte all'esame difficilissimo di latino, ho lasciato del tutto l'università. Nella mia professione artistica, invece, le difficoltà le ho affrontate davvero tutte.
Lei ha sperimentato fra i primi la tecnica del 'kromakey" per separare un attore o un oggetto dallo sfondo in modo automatico. Come è nata l'idea?
Questa tecnica era stata importata dalla Germania. Riusciva a creare, a costi molto contenuti, grandiose scenografie partendo da semplici cartoline. Il primo a realizzare in Italia questo esperimento è stato il regista Carlo Quartucci nel 1972 con 'Moby Dick', subito dopo è stata la volta del mio sceneggiato per ragazzi 'Le tigri di Mompracen' di Salgari dove ho utilizzato, insieme allo straordinario scenografo Eugenio Guglielminetti, il 'kromakey', poi impiegato nella serie televisiva su Zavattini 'Straparole' e in 'Viaggio a Goldonia'. Grazie a questa padronanza, io e Guglielminetti in Rai siamo divenuti 'quelli del kromakey'.
E come è il suo rapporto con la multimedialità televisiva attuale?
Ho camminato al passo con la Rai. Avevo appena 23 anni quando sono entrato, il 1° dicembre del 1953, posso dire di conoscerla sin da quando era nel grembo della sperimentazione. Ma non ho mai guardato la televisione e neanche i miei programmi. Forse perché ho sempre condiviso il disprezzo 'a prescindere', come diceva Totò, nei confronti della tv. Quello stesso che, quando feci il mio primo film, nel cinema, mi attirò forti ostinazioni, perché provenivo dalla televisione. Mi era stata anche rifiutata l'iscrizione all'Anac (Associazione nazionale attori cineasti), della quale ora sono Presidente. Oggi le uniche trasmissioni che guardo sono: 'Chi l'ha visto?', perché ci lavora mio figlio, e qualche programma di informazione e talk show, come 'Ballarò'.
E i programmi di divulgazione scientifica?
Ogni tanto vedo 'Superquark': Piero Angela è uno straordinario divulgatore, come anche Mario Tozzi. Devo dire che ogni tanto ritrovo nei programmi di Angela alcune delle mie tecniche scenografiche.
Oggi farebbe un documentario sulla situazione della ricerca in Italia?
Lo potrei fare solo a modo mio, in chiave ironica e grottesca, mettendo in risalto gli aspetti comici. Penso, invece, che il mondo della ricerca scientifica sia un tema adatto ai giovani registi, perché più vicini ai problemi che riguardano lavoro, sopravvivenza e prospettive future. Un po' ciò che è accaduto nel 1962 quando realizzai il film inchiesta sui giovani. All'epoca avevo 30 anni, e quindi ero in grado di capirli. Ora non riuscirei a farmi interprete dei bisogni delle nuove generazioni.
'La Storia sono io' è una full-immersion nella sua memoria.
Il libro è una collazione di tanti piccoli avvenimenti più o meno buffi dove persino le SS naziste risultano comiche. Tutto è nato al Festival del cinema di Torino, quando, in attesa della proiezione di un mio filmato, sono andato a consultare una libreria specializzata di arti visive inserita negli spazi della Casa del cinema. Tra le pubblicazioni ho trovato biografie di personaggi più o meno famosi, addirittura su Alvaro Vitali, e, invece, su di me nulla! Così è nata l'idea di scrivermela da solo.
Silvia Mattoni