Faccia a faccia

Non c'è poesia nella povertà

pansa
di Marco Ferrazzoli

Intervista a Giampaolo Pansa uno dei maggiori giornalisti italiani. Scrittore di getto, appassionato della "complessità delle vicende umane". Per parlare del suo ultimo libro 'Poco e niente', della crisi e della nonna Caterina...

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Dal suo buèn retiro senese, Giampaolo Pansa dispensa valutazioni e commenti sulla realtà con il distacco di chi ne ha viste e raccontate molte, traversando numerose stagioni senza paura di navigare controcorrente. Alle spalle una ricca bibliografia che conta successi come 'Il sangue dei vinti', 'La grande bugia', 'Il revisionista', 'Carta straccia' e, ora, 'Poco e niente' (Rizzoli). Il sottotitolo, 'Eravamo poveri, torneremo poveri', sembra una minaccia ma è una sorta di auspicio paradossale, anche se pronunciato con una buona dose di ironia e con il pizzico di rimpianto che possiamo concedere a uno dei maggiori giornalisti italiani.

Insomma, 'si stava meglio quando si stava peggio'?

Guardi che io volevo terminare il sottotitolo col punto interrogativo, è stato l'editore a toglierlo, dice che sulle copertine bisogna essere assertivi. Non mi auguro certo che il Paese entri in un clima di recessione o depressione.

Da cosa è nata l'idea di questo confronto tra la miseria di un tempo e il timore della povertà futura?

Da un'idea, non mia ma della mia compagna, di qualche tempo fa, prima che la 'crisi' diventasse così di moda. E da una scrittura di getto, molto rapida, in pochi mesi nonostante siano oltre 300 pagine: d'altra parte, dopo una vita nei quotidiani e nei giornali, so bene che le cose migliori sono quelle scritte così.

Poi però la crisi è stata 'ufficializzata'...

Vivo nella provincia toscana ho vissuto a Casale Monferrato, Milano, Roma: devo dire che nei piccoli centri la gente forse è più semplice ma le cose si colgono meglio, Certamente l'aria non tira verso il boom ma in direzione contraria. mi accorgo che anche i benestanti temono per il futuro dei loro figli e nipoti. E spesso sono proprio padri e nonni, anche quando prendono 800 euro al mese, ad aiutare i più giovani coi loro risparmi, anche perché le vecchie generazioni erano molto parsimoniose.

Si definirebbe un nostalgico? Il suo libro un po' lo sembra...

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La figura centrale del libro è mia nonna Caterina, che rimase vedova giovane e ha tirato su ben sei figli, tra cui mio padre. Può ben capire come il mio stile di vita sin da bambino sia stato sempre: quello di non spendere mai più di quello che guadagni. Ancora oggi che sono un signore benestante la giacca più nuova nel mio armadio è di chissà quanti anni fa e non le saprei dire qual è l'ultima volta che mi sono comprato un vestito.

Ed è sempre stato ligio a questa sobrietà?

A dire il vero quando stavo a Repubblica e l'Espresso mi piaceva fare una capatina da Cenci... quello che intendo dire è che prima di essere costretti a tirare la cinghia, l'abitudine alla morigeratezza nei consumi può tornare utile. Intorno a me vedo il muratore che ha perso il lavoro, il negoziante che chiude bottega...

La miseria di un tempo era più romantica?

Tutt'altro. Una lettrice del libro me l'ha detto: lei mi ha privato della 'poesia' della povertà. Ho attinto alle mie fonti famigliari, ai racconti di casa e del paese, oltre che alle fonti storiche di cui sono sempre stato un famelico lettore. Ma senza nascondere la diffusione di mali come pedofilia e prostituzione che affliggevano la società di un tempo: mia madre, ancora dopo la guerra, aveva numerose clienti che pagavano i vestiti con gli assegni dei loro 'morosi'... Per non parlare dei servizi sociali e sanitari, il parto in casa era una cosa terribile che oggi non sarebbe ammessa nel peggior ospedale.

E della tecnologia, un'altra delle grandi risorse di oggi, cosa pensa?

Sono l'uomo più antitecnologico che esista, lo devo confessare. Ho imparato a usare il computer forzato dalla mia compagna Adele, che è più giovane. Non uso le mail e penso che Internet sia una specie di terra di nessuno dove ci saranno cose magari interessanti ma anche pessime. Continuo a leggere una decina di quotidiani al giorno e al massimo seguo qualche rete televisiva all news. Ecco, anche su questo sono diventato un po' consumista: ho un televisore a grande schermo in alta definizione. Certo, mi permetto di non essere aggiornato perché spero che lo siano gli altri, per esempio il medico che mi dovesse visitare dopo un 'coccolone' conto che sappia usare tutti gli strumenti disponibili.

Dunque, l'investimento in innovazione serve?

Certamente. Innovazione e ricerca sono fondamentali, così come il livello di istruzione generale e sono del parere che sarebbe un investimento proficuo stipendiare sin dall'università gli studenti più meritevoli e brillanti. Anch'io sono un ricercatore, a modo mio.

Come definirebbe il suo approccio storiografico?

Da storico iper-dilettante però molto appassionato alla complessità delle vicende umane. Memore dell'insegnamento di Gaetano Salvemini, che ho personalmente conosciuto: ai giovani studiosi con la mania del documento d'archivio diceva: 'Qualunque documento d'archivio è nato per ottenere un risultato pratico'.

M. F.

 

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