Faccia a faccia

Il tempo breve della tecnologia aiuta la satira

M. Bucchi
di Claudio Barchesi

Massimo Bucchi, tra i maggiori autori satirici e vignettisti italiani, racconta la sua carriera, la passione per la scienza e il suo prossimo libro sulla psicologia. E come la celerità nel suo mestiere sia essenziale

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Massimo Bucchi, disegnatore e illustratore, è vignettista del quotidiano 'La Repubblica’. Nasce a Roma nel 1941, da genitori fiorentini. Dopo la laurea in Storia dell’arte medioevale alla Sapienza inizia la carriera come cronista all’Avanti, poi si dedica alla grafica editoriale. Ha esperienze professionali con vari editori e gruppi ma nel 1976 approda alla 'Repubblica’ di Eugenio Scalfari, dove lavora per 30 anni, prima come capo del servizio grafico, poi come vignettista. Autore di libri per Mondadori, Bompiani, Minimum fax e Marsilio, è tra i maggiori innovatori della satira italiana.

Da cronista a vignettista, un bel salto di linguaggio…

Ho scoperto subito che il giornalismo non mi interessava: amavo dipingere e disegnare e immaginavo che un lavoro nella grafica mi sarebbe riuscito meglio. Dopo un anno e mezzo da cronista entrai perciò in un’agenzia pubblicitaria di Roma; poi ho lavorato in Mondadori, al gruppo Giunti di Verona e all’Iri, allora Italstat. Alla fine di questo tumultuoso periodo uscì 'La Repubblica’: mi presentai a Scalfari e fui assunto. Ci ho lavorato per 30 anni. Oltre a fare il grafico ogni tanto scrivevo articoli satirici, che mi chiedeva sempre Scalfari. Ho iniziato a fare vignette, però, solo dopo il passaggio di Forattini alla 'Stampa’ di Torino.

Nato in una famiglia di musicisti, nessuno ha cercato di spingerla verso quest’arte?

Mio padre era direttore di conservatorio, mia madre una concertista di pianoforte, mio nonno primo corno nell’orchestra del Maggio fiorentino e mia nonna suonava il violino. A quattro anni dissi: “Lasciatemi pure senza cena, ma al concerto, no!”. Mi sono autoescluso e debbo dire che nessuno se n’è avuto a male. La famiglia mi ha però messo in contatto con il mondo intellettuale di Firenze: poeti, musicisti, scrittori. Giravano spesso per casa Vasco Pratolini, Romano Bilenchi, Luigi Dallapiccola, Luciano Berio, Bruno Maderna.

E si è laureato in storia dell’arte medioevale.

Mi sono laureato lentamente, a dire il vero, mentre già lavoravo, con Angela Maria Romanini. La facoltà di Lettere della Sapienza degli anni 60-70 era favolosa, aveva un 'parterre de rois’ stellare: Sapegno per la letteratura italiana; Paratore per il latino; Macchia per il francese; Praz per l’inglese; Bianchi Bandinelli per l’archeologia; Argan per la storia dell’arte; Morghen per la storia medioevale.

Dopo tutto questo tempo si diverte ancora a fare satira? 

È utile, come andare dallo psicanalista. È una continua autoanalisi, con il pubblico che giudica. Adesso sto preparando un libro con un amico psichiatra, si chiamerà 'Satira e psicanalisi’. Lui sostiene che vi siano molte affinità.

Come nasce una vignetta?

Non c’è nessun iter preciso. La faccio e la mando abbastanza di getto, però. Fino a 15 anni fa nemmeno passavo per la redazione, spedivo direttamente in tipografia. A mio avviso l’umorismo funziona bene quando è astratto, ambiguo. La forza della vignetta non arriva solo dal suo testo, ma dal modo con il quale si riferisce ai fatti. Il contrasto accentua la forza dell’immagine. L’uso dei simboli poi è importantissimo. Il simbolo è oggettivo, permette di dire le cose senza coinvolgersi in prima persona, come se si dicesse: “Sto dicendo una cosa che non sapevo di sapere”. Su 'Repubblica’ ho tre spazi: per la vignetta degli editoriali è la notizia del giorno che detta il tema, quella del 'Venerdì’, essendo settimanale, non può trattare temi legati alla cronaca, quella di 'Affari & finanza’ deve riguardare temi economici.

Non ha mai creato un personaggio fisso, un Bobo, un Cipputi…

Quando ho iniziato a fare vignette per 'Repubblica’ disegnavo. Poi ho recuperato il valore dell’immagine in sé, del ritaglio, del simbolo, del collage. Non mi piace il disegno ripetuto: fare lo stesso personaggio per tutta la vita mi avrebbe spaventato. Oggi con il diminuire dell’importanza delle vignette nei giornali e dello spazio a loro disposizione ho adottato delle silhouette, ottenendo l’immediata riconoscibilità e la perfetta leggibilità.

Qual è stato il periodo migliori per la vignetta satirica?

Gli anni 1985-'95. Poi il peso della vignetta è diminuito. Ma la satira in Italia non c’è mai stata veramente: c’è stata l’invettiva. La vignetta ottocentesca di Forattini ebbe un grandissimo successo, è stato il Disney della satira, ma non esiste una storia comune della satira italiana, ognuno ha seguito un percorso diverso. Io poi mi definirei sia un umorista sia un autore satirico, anche se prevale il secondo. Con l’umorismo riscattiamo noi stessi, ci identifichiamo nelle sconfitte altrui, la satira prevede invece aggressività, giudizio. L’umorista accetta qualsiasi mondo possibile, la satira lo combatte.

Dopo l’attentato a Charlie Hebdo ci si chiede molto se davvero non c’è limite a quello che si può dire.

I limiti se li deve dare l’autore. Io non amo quel tipo di satira francese: non puoi dire che tutti i musulmani sono dei fessi, non li aiuti, il messaggio dovrebbe essere rivolto contro i capi di certi musulmani. E la stessa cosa vale per i cattolici, bisogna mettere in luce i paradossi. In un periodo in cui si moltiplicavano le statue della Madonna piangenti, ho fatto una vignetta con una Madonna che diceva “L’importante non è essere, è apparire”.

Il suo rapporto con la tecnologia sul lavoro e nella vita privata come è?

Ottimo: la tecnologia permette di fare molte cose in poco tempo e la satira è essenzialmente una questione di tempismo, più che di arte. L’arte trasformata la materia con un sentimento, la satira non ha rapporto con nessuno dei due. La forma e i colori sono standard, il tema arriva dagli avvenimenti e il tempo è breve, come dicevo, breve e finito.

Tra i temi che affronta c’è la scienza?

Meno, perché la scienza offre nuove prospettive: sa correggersi, falsificarsi, non è come la religione. “Provando e riprovando”, diceva Galileo. Io amo molto questa non ineluttabilità. Sono affascinato da temi come il Big Bang, l’evoluzionismo, il Dna. E sono peraltro certo che le macchine finiranno per prendere il sopravvento e dimostreranno l’inutilità dell’uomo. È inevitabile.

Una vignetta dal tema scientifico alla quale è legato?

Quella sulla fusione fredda. Ai tempi del contestato esperimento di Fleischmann e Pons feci una vignetta con due cuochi davanti a una pentola. Ancora oggi mi fa ridere.

Claudio Barchesi